Ci stiamo specializzando nel perdere le parole e dunque il senso delle cose.
Tantopiù quando sarebbe necessario averlo ben chiaro, per tenere aperti gli occhi su quello che accade.
A volte la parola c’è e ne perdiamo il significato per superficialità, o perché chi parla e scrive non sa di che cosa parla e scrive.
Colgo uno spezzone di conversazione: “lo voglio vedere che pulisce i gabinetti!” “sì, in una casa di riposo!”.
Mi intrometto, e ho conferma dalle due interlocutrici che stanno parlando di un anziano ex Presidente del consiglio ed ex Cavaliere.
Trasecolano quando spiego loro, in breve, che non lo vedranno mai con lo spazzolone e lo straccio. Tre dei quattro anni di condanna per reati fiscali sono condonati (è l’indulto del 2006), un anno, come accade per tutti i cittadini condannati a pene residue brevi per reati non gravissimi, sarà scontato fuori dal carcere, agli arresti domiciliari, oppure in “affidamento in prova ai servizi sociali”: il che significa avere una serie di incisive limitazioni alla libertà personale, stabilite dal giudice, e controllate da un servizio pubblico esterno al carcere; non invece lavorare per scontare la pena (quello si chiama “lavoro di pubblica utilità”). Meno di cento parole per spiegare la sorte dell’ex.
La condanna definitiva è arrivata otto mesi fa: eppure ben pochi le hanno usate, per evitare attese di gogna che ancora circolano nell’opinione pubblica. E anche per dire che l’amministrazione della giustizia non è una pubblica vendetta; e che rivendicare l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge implica garantirne l’uguaglianza di fronte alla pena.
Altre volte si inventa una parola e tutti appresso a riempirla del significato apparente.
Un decreto di qualche tempo fa è subito diventato lo “svuotacarceri”.
Stracciamenti di vesti, apocalisse annunciata, visione di orde di delinquenti che abbattevano i cancelli, accompagnati alla libertà da un governo di irresponsabili.
Nessun carcere si è svuotato, sono effettivamente stati liberati in pochi, il decreto è servito a razionalizzare alcuni aspetti della custodia cautelare e delle pene. Tant’è che il problema del sovraffollamento rimane, e rimarrà fin quando non si immagineranno strutture detentive complementari al carcere di impostazione settecentesca.
Semplicemente, d’ora in avanti, sarà più raro che entrino in carcere per uscirne dopo pochi giorni dei cittadini che possono senza pericoli rimanere agli arresti domiciliari, o che si protragga la carcerazione di cittadini già pronti a ritornare nella società.
Ma sì, “va bene, va bene così”, come direbbe Vasco, per ora continuiamo ad avvelenarci di parole vaganti.
Se poi tra le molte svolte annunciate ce ne sarà una del linguaggio, avremo un’altra tessera del mosaico di un vivere migliore
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