E poi dicono che la politica non parla più alla società civile. Non la capisce. Non la ascolta. Non la considera. Non la rappresenta. Pensa, decide e si comporta seguendo traiettorie, codici e linguaggi del tutto altri rispetto a quelli consoni a noi gente qualunque. Ma è vero il contrario. Mai i parlamentari sono stati così identici ai loro elettori e l’episodio di venerdì in Senato – triviale, grottesco, circense – ne ha sancito in via definitiva, plastica l’ormai perfetta sovrapposizione. Noi uguali a loro. Loro uguali a noi. Questa sì che è vera democrazia.
Il gesto osceno, dalla mimica straordinariamente sessista, rivolto dal verdiniano Lucio Barani alla grillina Barbara Lezzi mentre stava concludendo il suo intervento, per quanto ancora ipotetico, supposto, favoleggiato e già mitizzato ma non ancora comprovato da video, foto, selfie e droni, segna un punto di svolta definitivo nell’immaginario collettivo del potere. Ora sì che ci sentiamo veramente rappresentati. Ora sì che il palazzo è diventato una casa di vetro. Trasparente. Specchiato. Popolare. Ora sì che abbiamo rottamato per sempre gli arzigogoli democristiani, le leopardiane complessità comuniste, i doppi binari, i doppi forni, le convergenze parallele, le sante dorotee, le subordinate, i lo dico ma non lo penso, lo penso ma non lo dico, gli amici, i compagni, i pontieri, le balene bianche, i fattori k, le contraddizioni del sistema. Tutto un vocabolario finito in cantina.
Ora Fellini, o forse meglio il Bagaglino, si è impossessato del potere e ne mostra la faccia laida e granguignolesca e insulti e sputi e sghignazzi e battute da trivio e machismi e dialettismi e meteorismi e taccododicismi. Chiunque potrebbe essere lì al posto loro – un molesto da bar, un ultras della curva, una sciampista con la terza elementare, un analfabeta di andata e pure di ritorno, un seguace di Frank Matano – davvero chiunque. E chiunque di loro potrebbe animare le nostre serate di provincia al bar della Pesa a straparlare del mondo, che alla fine della fiera un rigorino alla Juve lo danno sempre e che i negri e i cinesi sono dietro a invaderci per portarci via il lavoro e stuprare le nostre donne.
Adesso, dopo il fattaccio, è tutto un coro di alti lai e di altissime indignazioni su quanto sia inaccettabile questo gesto e che sconcio nel consesso più nobile della nazione e scandalo e vergogna e ire funeste e sanzioni esemplari e quote rosa e lotte sempiterne contro la discriminazione sessuale. Ma perché, crediamo forse che la sceneggiata del Senato sia un caso incidentale legato al sordido livello degli infami verdiniani e che riguardi solo quel mondo lì, di gente pronta a vendersi un tanto al chilo e a dileggiare le donne con il peggiore degli insulti? Siamo davvero così ingenui? Tanta strada si è fatta dal mitico cappio anti-Craxi del 1992, passando per l’altrettanto mitica mortadella anti-Prodi del 2008, per arrivare fino alla caserma dei giorni nostri. La nostra società è pervasa dalla volgarità, dal maschilismo e dal sessismo. E questo alla faccia delle dichiarazioni d’intenti trombonesche che ci sorbiamo di tanto in tanto, quando la cronaca riporta a galla il peggio di una cultura stratificata, capillare, inscalfibile.
E suona davvero spassoso, se non fosse diabolicamente ipocrita, come una parte politica ben definita – la nostra meravigliosa sinistra da salotto, regina della doppia morale – abbia passato i migliori anni della sua vita nel tentativo di rovesciare tutta questa schifezza sulla parte avversa e abbia perseguito scientemente la costruzione di un’iconografia di politiche di destra come un peristilio di cubiste, spogliarelliste, escort, femminazze, vaiasse, pitonesse e mantidi religiose a fronte delle politiche di sinistra, tratteggiate invece a guisa di un seminario di stilite, amanuensi, madonnine infilzate, eroine della cooperazione internazionale, sante, beate, cherubine, serafine, madriterese e metafore della bontà e dell’altruismo. Per essere però prontamente punita – nella vita c’è sempre qualcuno più doppiomoralista di te - dai neobarbari grillini, che qualche tempo fa hanno sottolineato che le deputate del Pd siedono in Commissione giustizia solo perché particolarmente virtuose nella pratica così efficacemente mimata dal senatore Barani. Con l’aggiunta di una gaffe atomica del loro vate Beppe Grillo, che per denunciare lo scandalo del lauto vitalizio intascato da Nichi Vendola, ha ritwittato un aforisma da milord di un tale che discettava su come i gay usano il loro didietro. Tutto vero. Chissà che ne pensa la Lezzi…
E suona ancor più spassoso che la lezione ai politici cialtroni arrivi dal mondo dei media, notoriamente uno degli ambienti più maschilisti del pianeta terra, perché solo chi ha messo piede nella redazione di un giornale - soprattutto quelli nazionali, ma non solo - può capire il livello di sessismo che giganteggia da quelle parti, come se fossimo negli anni Cinquanta, in un romanzo di Sciascia o in un film di Germi.
Ma forse è meglio così. Forse questa ultima schifezza aiuterà tutti quanti a spazzare via la demagogia stracciona del politico da votare perché è come noi. Niente affatto. Il politico non deve essere come noi. Non deve parlare come noi. Non deve pensare come noi. E , soprattutto, non deve comportarsi come noi, con i nostri parcheggi in tripla fila, le nostre evasioni fiscali, le nostre finte malattie, le nostre piaggerie, la nostra culturetta da quattro soldi, i nostri ideali da Maria De Filippi, il nostro maschilismo e i nostri colloqui di lavoro in minigonna e zatteroni che così magari mi danno il posto. Loro dovrebbero essere diversi. Migliori. Superiori. Più colti. Più coraggiosi, più saggi, più degni. Non è affatto vero che la gente sia una cosa bella, perché troppo spesso degrada in trivio, suburra, popolo bue, assalto ai forni. Il senatore Barani, con la sua mimica da Rocco Siffredi, siamo noi. La prossima volta, evitiamo di votarci, per favore.
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