La politica italiana
Vent’anni di fallimenti

Oggi non termina solo un anno, finisce anche un ventennio, tormentato come quello del secondo scorso che pure aveva ospitato una guerra mondiale e, anch’esso, la devastante pandemia della Spagnola che, però, quando il mondo brindò all’avvento del 1921 era già quasi del tutto scomparsa.

In Italia, sul versante dei partiti, dei movimenti e delle istituzioni, questi vent’anni sono stati segnati dal definitivo tramonto della politica tradizionale e dall’ascesa, con la conseguente crisi in atto, dell’antipolitica e del populismo sovranista e nazionalista. Quello che ci attende, forse, è una fase post politica dai contorni tuttora indefiniti.

Basti pensare che alla fine del 2000 a palazzo Chigi c’era Massimo D’Alema, primo presidente del Consiglio con una militanza nel partito comunista ed esponente di spicco del “vecchio” ceto politico. Dì lì a 7 anni un altro ex Pci, Giorgio Napolitano, assurgerà alla massima carica dello Stato e sarà anche il primo e finora unico presidente della Repubblica a essere rieletto (Sergio Mattarella ha ottime chance di eguagliarlo visto il marasma delle attuali coalizioni politiche). Oggi il presidente del Consiglio è Giuseppe Conte, nato in una culla sovranista e populista qual era la maggioranza Lega-Cinque Stelle da cui si è affrancato dopo lo svezzamento per trasformarsi in un esponente impolitico o post politico buono per ogni stagione.

L’ultimo ventennio, anche per cause non del tutto imputabili ai nostri esponenti, è stato, per la politica, quello delle occasioni sprecate. Ai tempi in cui D’Alema guidava il governo, a Downing Strett c’era Tony Blair. Nessuno immaginava nemmeno alla lontana la Brexit e la spinta del New Labour con i mutati rapporti, non più solo segnati dalla conflittualità, tra lavoro e capitale contagiava anche la sinistra italiana. Pure in questo caso, però, si impatanò tutto in mezzo al guado, anche per gli equivoci sulla globalizzazione che, nonostante le premesse paradisiache, ha finito per ampliare le disuguaglianze e, assieme alla crisi dei mutui subprime, creato condizioni sociali da Seconda Internazionale.

D’altro canto, dopo il tramonto di Reagan e Tatcher, anche la presunta rivoluzione liberale e liberista di Berlusconi a destra si è rilevata un’illusione. Del resto, sarebbe stato singolare che un monopolista in economia potesse adottare strategie opposte una volta approdato nel teatrino della politica. La grande occasione è stata quella tra il 2001 e il 2006 quando il Cavaliere arrivò a palazzo Chigi forte di una maggioranza oceanica, ma preferì concentarsi per così dire sul suo “particolare” più che su quelle riforme vagheggiate per il paese. Vi fu sì un tentativo, naufragato con un referendum destinato alla sconfitta più di quello con cui Matteo Renzi iniziò il suo harakiri a cui non pare intenzionato a rassegnarsi. Perché tra gli altri fallimenti di questo ventennio di politica, che ha attraversato la Seconda e la Terza Repubblica entrambe virtuali, ci sono i vari tentativi di riforme: quella della Bicamerale di D’Alema, affossata da Berlusconi in vista del traguardo, oltre a quelli già citati sopra.

Va aggiunto il carico del federalismo: in parte contenuto nel pacchetto bocciato da referendum svolto mentre gli azzurri di Marcello Lippi vincevano il quarto mondiale della nostra storia, è stata un’altra chimera che ha transitato a lungo nella politica italiana, alimentando speranze che si sono risolte in due provvedimenti con esiti non esaltanti. Il primo è stata la riforma del titolo V, approvato in fretta e furia da un centrosinistra alla disperata ricerca della riconferma elettorale al governo. Il secondo una legge che ha ampliato la possibilità degli enti locali di mettere le mani nelle tasche dei cittadini senza consentirgli di trattenere parte dei trasferimenti diretti a Roma.

Non a caso la Lega Nord, passata dalle mani di Bossi a quelle di Salvini dopo l’interregno di Maroni, ha dovuto cambiare la ragione sociale e si è trasformata, per ora con successo, in partito nazionale cavalcando la nascente poi declinante ondata sovranista.

Altri fallimenti della politica ventennale in Italia sono stati i tentativi di rimettere in sesto i conti dello Stato fatti prima da Prodi e Padoa Schioppa con una maggioranza picaresca, e poi sulla spinta ultimativa dell’Europa e anche nonostante questa, da Mario Monti, passato in un amen da Messia a ubriaco da dileggiare in fiera.

Su tutte queste macerie ha costruito il suo successo il movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo e Casaleggio, già finito però nell’anticamera della stanza che ospita le occasioni perdute.

Adesso sembra davvero che questo paese le abbia provate proprio tutte in questi vent’anni di politica. Salvo un’opzione: quella che cominciò a lievitare proprio poco prima del pensionamento dell’anno 1920 e destinata a sfociare in un altro ventennio. E c’è solo da sperare che abbia torto chi sostiene la ciclicità della storia.

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