Dicono che le donne che si buttano in politica siano tutte uguali. Ma alcune sono più uguali delle altre.
Uno dei momenti più spassosi della settimana – mentre nel mondo reale accadevano quisquilie come la strage dei migranti a Lampedusa o l’ennesimo salvataggio farsa di Alitalia – lo ha regalato giusto ieri Repubblica con una strepitosa intervista al deputato del Pd Alessandra Moretti. Non che il soggetto sia così rilevante di per sé, naturalmente - la Moretti è, in buona sostanza, una nullità – ma invece per quel che rappresenta nella cosmogonia della nuova
politica femminile all’italiana. Ora, in questi anni la vulgata e l’esperienza hanno delineato con tratti impietosi la classica tipologia della onorevole di destra, su cui tanto si sono accaniti, e spesso a ragione, stampa e satira televisiva. È dalla discesa in campo del lider maximo che si è assistito all’invasione di un’orda di ragazzotte tailleurate e tacchettate che hanno infilato nel ripostiglio degli abiti smessi quei ferrivecchi della prima Repubblica alla Nilde Iotti o alla Tina Anselmi che anche fisicamente, oltre che per formazione culturale, rappresentavano una stagione lontana, antica, spesso schifosa e tragica ma di certo più seria di quella attuale e per i quali era arrivata l’ora del repentino pensionamento. Le prime esodate dal palazzo. E l’effetto, sul piano del costume, se non su quello dei contenuti, spesso inesistenti, è stato palingenetico. Le pupe del boss. Le amazzoni del grande timoniere. Le vestali del satrapo assoluto, che dall’alto della sua magnificenza e della sua magniloquenza atterrava e suscitava, creava e nominava, tanto da far entrare in Parlamento e financo al governo personaggi che fino a qualche anno prima mai e poi mai avrebbero neppure sognato un incarico del genere. Nel momento in cui la Pivetti - per quanto di credo leghista - è diventata presidente della Camera è finito un mondo. Che poi la ex vandeana occhiuta abbia concluso la carriera con un servizio fotografico che la ritraeva in tuta di pelle con borchie e frustino in stile Catwoman la dice lunga su quanto il tempo sia inesorabilmente galantuomo.
Insomma, un sacco di fuffa. Ed è stato quindi inevitabile il profluvio di critiche e stroncature e spappolamenti di un personale femminile di destra che raramente si è distinto per capacità vere e competenze cristalline, quanto invece solo per il modo di vestire, di urlare, di azzannare, di bagordare al ristorante sushi&sashimi e di obbedire all‘unico monolito di riferimento senza il quale non sarebbe mai diventato nessuno. Non tutto, certo, ma, diciamoci la verità senza ipocrisie, la stragrande maggioranza. E giù risate e colpi di gomito e sguardi ammiccanti e furbeschi su dove arrivasse la competenza politica e dove invece l’affinità elettiva e morbosetta con il Cavaliere. Se ne sono passate di ore con gli amici a sghignazzare su certe cose che possono succedere solo in Italia, perché in un paese serio, signora mia…
Tutto vero, o quasi, per carità. Però, c’è pure di peggio. Perché il contrappasso è stato lo spuntare, dalla parte avversa e opposta, di certe madonnine infilzate alla Alessandra Moretti, appunto, quarantenne davvero splendida, sciuretta bon ton da film di Pietro Germi, che dal nulla si è ritrovata all’improvviso portavoce dell’allora segretario Luigi Bersani. Operazione di marketing del poliedrico e mai abbastanza meraviglioso Pd, che alla bonazza di destra ha deciso di contrapporre la carina di sinistra, la cosiddetta “cari-dem”, come genialmente soprannominata dal Foglio.
Anche qui, abbiamo una capostipite, l’indimenticabile e altrettanto splendida Giovanna Melandri, che per anni se l’è tirata da appassionata di giovani, cultura e integrazione dell’universo mondo e che, una volta uscita dal giro della grande politica, è stata subito nominata - ma guarda un po’ - presidente del Museo delle arti di Roma, dove è riuscita nell’impresa di coprirsi di ridicolo prima millantando di lavorare a titolo gratuito e poi intascandosi un maxi-stipendio alla chetichella.
La Moretti, invece, all’inizio ha inanellato comparsate televisive in qualità di pasdaran di Bersani, in seguito però, appena visto l’esito delle elezioni, ha iniziato a flirtare con Renzi fino a non votare Marini per la presidenza della Repubblica, contro le indicazioni del suo segretario. Ora, in un qualsiasi paese serio del centro Africa, tipo il Congo - che assieme al Niger, allo Yemen, alla Mongolia e all’Italia è l’unico a non far pagare l’Imu sulla prima casa - la Moretti sarebbe stata cacciata dal partito a calci nel sedere.
Qui invece, perché il Pdl sarà anche una setta di adepti del guru ma il Pd è una barzelletta che più barzelletta non si può, è ancora lì che detta la linea e nel frattempo, tornando all’intervista di Repubblica, flirta con Renzi, ammicca a Cuperlo, pigola con Letta e trilla con i suoi occhioni da Carole Bouquet con Scelta civica.
Ma, insomma, tra una Biancofiore che si butterebbe sulla pira per Berlusconi e una Moretti che va bene il primo che passa, basta che le garantisca uno strapuntino, qual è quella che fa più ridere? Anzi, quella che fa più pena? Possibile che anche se siamo nel Tremila si sia ancora schiavi del peggior luogocomunismo diviso tra cavallone col Suv e maestrine dalla penna rossa? Ed è accettabile che questa dicotomia grottesca si riverberi anche nei posti di lavoro? È civile che così in pochi si accorgano che tra queste due tipologie di macchietta femminea esista tutta una vasta schiera di donne che capiscono e studiano e lavorano e che, naturalmente, nessuno racconta e nessuno rappresenta?
Chiunque abbia poteri di gestione del personale, guardi un po’ nei propri uffici: tra le valchirie carrieriste, le timorate con il cuoricino di panna e i mostri affini, c’è tutta un’umanità femminile meravigliosa che non scimmiotta i maschi e non gioca al ruolo di Cenerentola. Donne vere e serie. Iniziamo per davvero a puntare su di loro, per favore.
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