Il procuratore generale della Corte di Cassazione al processo Eternit – 2200 morti e 700 malati per contaminazione da amianto - lo aveva addirittura premesso: «Per me l’imputato è responsabile di tutte le condotte che gli sono state ascritte». Ma l’imputato (il magnate svizzero Stephan Schindheiny), ha proseguito l’alto magistrato nella sua requisitoria, va assolto. Delicata lex, sed lex. La Corte assolve l’imputato, colpevole di reato ambientale, perché il reato è andato in prescrizione «e il giudice tra diritto e giustizia deve sempre scegliere il diritto». Lascia un senso di impotenza e di rabbia soprattutto nei familiari delle vittime, che non hanno nemmeno la facoltà di ottenere un risarcimento, la conclusione del procuratore: «La prescrizione non risponde a esigenze di giustizia ma ci sono momenti in cui diritto e giustizia vanno da parti opposte». La giustizia si arrende. Una toga può solo obbedire alla legge ed è il paradosso di questa sentenza che lascia l’amaro in bocca, fa sì che le vittime siano morte due volte.
Non si tratta certo di un’anomalia dei nostri giorni. La tensione – addirittura il contrasto – tra giustizia e diritto esiste dalla nascita del diritto, dai tempi di Platone e di Cicerone (“summum ius, summa iniuria”). L’applicazione della legge a volte può generare mostri ma è l’unica strada che può percorrere una toga.
Ma allora dobbiamo rassegnarci alle ingiustizie, soccombere agli Azzeccagarbugli? La risposta è no.
Tornando alla sentenza Eternit, va detto che un verdetto non si richiude mai nel recinto del legittimo processo. Per fortuna altri giudici, altri attori, nelle vicende degli uomini, entrano in gioco: il giudizio della storia, che analizza il contesto in cui è nato un evento dopo che il tempo è stato cristallizzato, quello dell’opinione pubblica, attraverso i mass media e l’opinione dei giornali, che non rendono giustizia ma contribuiscono a ricostruire la verità.
L’indignazione, diceva Victor Hugo, a differenza della rabbia, contiene sempre un elemento di verità. E soprattutto la politica, il primo potere incaricato di fare le leggi anche traendo lezione dalle sentenze. Si è parlato ad esempio dell’istituto della prescrizione, che di per sé è necessario per molti reati perché l’azione penale non possa durare all’infinito intasando la giustizia ma anche perché l’individuo, col passare del tempo, non è più lo stesso che ha violato la legge. Ma certo accorciare la prescrizione (come ora promettono il premier Renzi e il presidente del Senato Grasso) da un lato accorcerebbe i processi (perché nessuno avrebbe più interesse nell’allungare i tempi) e dall’altro eviterebbe sentenze come quella della Cassazione dell’altro ieri.
Sulla vicenda Eternit, come di altre vicende, tutti sappiamo di cosa stiamo parlando e il nostro giudizio ormai è netto: contribuirà forse un giorno non troppo lontano a inasprire i reati ambientali, a produrre norme più consone alla legge naturale. Mentre già si preannunciano nuovi processi per il reato di omicidio a carico dei responsabili della tragedia Eternit. Nulla è perduto. La speranza che la giustizia prevalga sul diritto, che quei tanti pianti e stridori di lacrime che abbiamo visto in televisione alla lettura della sentenza vengano asciugati, ancora rimane.
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