Ci sono tante ragioni per provare simpatia, e forse anche un po’ di stima, nei confronti di Giorgia Meloni. Ma tante tante.
Non solo per il fatto che sia la prima premier donna, che già di per sé è una svolta, ma soprattutto perché la sua è una bella storia. Perché è una figlia di nessuno, in un paese che rappresenta il reame, l’impero, il paradiso dei figli di qualcuno, degli amici di qualcuno, dei segnalati da qualcuno e, soprattutto, dei servi di qualcuno. O più generalmente, dei servi di tutti. E perché si è impegnata per anni - studiando, lavorando, restando coerente - per uscire dalla “fogna” degli impresentabili, degli sfregiati, dei reietti. Ed è un bene che quel mondo sia finalmente arrivato al potere, perché è solo con l’esercizio del potere che si è costretti a fare i conti con la realtà, a beccarsi i suoi schiaffi, i suoi ceffoni, le sue pedate nel sedere, è un bene che la cosiddetta “fogna” di destra sia entrata nel palazzo, così come è stato un bene che sia successo lo stesso anche ai 5Stelle. Non c’è nulla di più pericoloso di lasciare pezzi di paese senza rappresentanza istituzionale: è lì che sboccia la demagogia, l’irresponsabilità, l’eversione, addirittura. Sì, è proprio una bella storia quella incarnata dalla Meloni.
Per tutti questi motivi è stato davvero uno strazio assistere alla catastrofica, grottesca, tragicomica conferenza stampa di Cutro, un disastro comunicativo probabilmente senza precedenti - il premier ha dimenticato la prima regola del potere: se si vuole comunicare bene mai affidare la comunicazione ai giornalisti, soprattutto se pensano di essere Curzio Malaparte - nel quale il presidente del Consiglio è andato a fondo, inanellando una gaffe dopo l’altra, un’imprecisione dopo l’altra, una sbroccata dopo l’altra e facendo così passare in secondo piano gli strafalcioni del ministro degli Interni, che a strage ancora calda incolpava i morti di non essersene rimasti beati e sereni in Siria o Afghanistan.
Non c’è niente da fare. Sul tema immigrazione affondano tutti. Nessuno riesce a staccarsi dall’impasto di demagogia, cinismo, sciacallaggio, pietismo e moralismo che fanno di questa tragedia planetaria una bomba atomica in grado di travolgere qualsiasi governo. Questo compreso. Che, incapace di emanciparsi dai temi e dai toni più vieti della campagna elettorale, pensa di risolvere il problema inventandosi una nuova fattispecie di reato e aumentando le pene già esistenti. Tipo sbandierare dal balcone che da ora in poi gli scafisti rischieranno fino a trent’anni di carcere, dimenticandosi che trent’anni li rischiamo già oggi. O peggio ancora, toccando vertici di puro ridicolo - uno sfondone che perseguiterà la Meloni per anni - sul governo 007 che andrà “a cercare gli scafisti in tutto il globo terracqueo”. Ha detto proprio così. Globo terracqueo. Sembrava di essere alla lezione di latino alla quinta ora del sabato. E poi dicono che quelli di destra non hanno studiato…
Ora, anche un bambino sa che questo è tutto fumo negli occhi, tutto granone per i polli. Sarà bello vedere come si vanno a prendere gli scafisti in acque territoriali non italiane, sarà bello vedere come si fa ad arrestarli sulla terraferma in paesi extraeuropei senza la firma preventiva di accordi transnazionali che, ovviamente, non ci sono. E, intanto, è bello sapere che di esponenti delle organizzazioni criminali che gestiscono la tratta dei nuovi schiavi nell’Africa mediterranea in tutti questi anni non ne è stato arrestato manco uno. E poi sarà bello vedere quale paura, quale terrore, quale sgomento ispirerà agli scafisti il rischio di prendere trent’anni, come se non fosse già stato provato e comprovato mille volte che l’aumento delle pene non ha alcuna forza deterrente nei confronti dei criminali. Che sono soggetti di malarazza che se ne fregano della galera. Altrimenti negli Usa, dove in tanti Stati vige la pena di morte, gli omicidi sarebbero estinti, vista la certezza di finire sulla sedia elettrica, e la mafia, la camorra e compagnia sarebbero già morte e sepolte, vista la certezza di finire al 41 bis. I delinquenti, gli assassini, gli schiavisti se ne sbattono delle nuove leggi. E oltretutto per colpirli bastano e avanzano quelle che ci sono già.
Ma si sa, quando sei a corto di idee, quando la cronaca ti strattona e ti violenta, se non hai una solida cultura di governo e una solida squadra di governo - se uno pensa a quella della Meloni ti viene da piangere, da solidarizzare con questa povera donna – finisci con il buttarla in caciara. Con il fare la voce grossa. Con il mostrare la faccia feroce e dire scempiaggini tipo “blocco navale!”, “sostituzione etnica!”, “è finita la pacchia!”. Tutta una pantomima dietro la quale, però, c’è il nulla. E nell’architettura delle pantomime è molto più bravo Salvini, che infatti è risultato il paradossale vincitore di quella paradossale conferenza stampa a chiusura di quel paradossale consiglio dei ministri.
Ma davvero pensano che sia questa la soluzione? Ma davvero pensano che il fenomeno si fermi, visto che ne sono appena sbarcati altri duemila e per evitare nuove tragedie si è dovuto ricorrere alla marina militare? Ma davvero ci credono? E noi, davvero ci crediamo, a tutta questa congerie di panzane? Non è meglio fare i conti con la realtà e accettare il fatto che il nostro sistema pensionistico in quest’epoca di gelo demografico irreversibile - fra vent’anni saremo un paese di ottantenni, quindi saremo un paese finito - ha un bisogno disperato di migranti che lavorino e versino i contributi? Che il nostro sistema sanitario ne ha un bisogno disperato? Che il nostro sistema imprenditoriale, il mercato del lavoro dei nostri territori ha un bisogno ancor più disperato di personale formato o da formare che può arrivare solo da lì grazie a una gestione severa e coordinata dei flussi e che tutto il resto è una pagliacciata?
È una sfida enorme. Troppo più grande di lei. E, purtroppo, troppo più grande anche di noi.
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