Per Matteo Renzi la Cina è vicina. Anche da Shangai, dove è in missione con gli imprenditori italiani, il premier detta l’agenda delle novità: al telefono con Cameron e Rutte (impegnati in un vertice con Angela Merkel) ripete che in Europa vengono prima i programmi e poi i nomi dei candidati alla guida della Commissione. Dunque uno stop alla Germania pigliatutto.
I dati dell’Ocse che fotografano un’Italia in accelerazione, unica tra i Paesi del G7, gli consentono di ricordare che il prossimo Expo rappresenta una «gigantesca opportunità» di raccontare un Paese
migliore, che bisogna avere il coraggio di cambiare.
Sono parole dirette con ogni evidenza ad un dibattito interno che fatica a superare il piccolo cabotaggio delle polemiche tra correnti. E gli dà una mano implicita il capo dello Stato quando ricorda che, nell’interesse della Nazione, servono le riforme istituzionali. Giorgio Napolitano per dare forza al messaggio sottolinea che il suo è un mandato a tempo e che dunque serve fare presto, liberandosi dagli schemi del passato.
Venerdì il premier sarà di ritorno in Italia per varare il decreto anticorruzione, ma certo non lo tranquillizzano le sabbie mobili in cui sembra essersi incagliata la discussione sulla riforma del Senato. Il ministro Maria Elena Boschi si dice convinta che l’accordo sia ad un passo e, per la verità, il coordinatore azzurro Giovanni Toti sembra darle indirettamente ragione quando nega che sia saltato il patto del Nazareno.
Tuttavia ciò che rende opaca la situazione è lo scontro interno a Pd e Forza Italia. Tra i democratici la linea Chiti non è tramontata: la minoranza interna, decisiva in commissione Affari costituzionali di palazzo Madama, fa sapere che il problema resta il dialogo e la sovranità parlamentare e non l’essere ago della bilancia. Come spiega Corradino Mineo, sarebbe contraddittorio per il Rottamatore imporsi a colpi di maggioranza dopo aver puntato sulla condivisione più ampia.
Tutto ciò riporta a Forza Italia. Una parte del partito è contraria alla bozza Boschi, ma nell’inner circle del Cavaliere ci si comincia a rendere conto che mandare all’aria il patto con il segretario del Pd condurrebbe solo all’isolamento e a rispolverare vecchie logiche correntizie bocciate dall’ elettorato. Il caso Mauro agita le acque: l’ex azzurro confluito con i Popolari per l’Italia è stato rimosso dalla commissione Affari costituzionali per la sua contrarietà alla proposta del governo di un Senato non elettivo. Mauro parla di «epurazione renziana» di un agguato ordito da Pierferdinando Casini in vista di un’intesa organica con il premier, ma i suoi compagni di partito replicano che la maggioranza dei popolari è di altro avviso e aveva diritto ad essere rappresentata in commissione.
Inserirsi in questa querelle per Forza Italia è rischioso, sebbene il capogruppo dei senatori Paolo Romani abbia espresso la sua solidarietà a Mauro. È necessario infatti un profondo rinnovamento: in periferia anche nel movimento berlusconiano si cominciano a fare vivi i rottamatori (vedi il caso di Bologna).
Raffaele Fitto per ora fa surplace, ma contesta esplicitamente le esitazioni del Cav: gli chiede di aprire una fase di rinnovamento interno.
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