È la luce in fondo al tunnel? O è l’ennesimo miraggio indotto dalle politiche recessive che, dal 2008 ad ora, non hanno certo prodotto risultati se non quelli di portare l’Europa in particolare nel gorgo della peggiore recessione dagli anni venti del secolo scorso.
Eppure stavolta potrebbe essere il momento buono: le imprese italiane e di tutti i comparti - aspetto questo da non sottovalutare - ritrovano un po’ di fiducia e il relativo indice sale al 79,6 dal 76,4 di giugno. Insomma, vedono un rosa stinto le aziende di costruzioni, come quelle manifatturiere, quelle dei beni intermedi e perfino quelle che producono beni di consumo. Un sottile ottimismo che si allunga perfino al commercio al dettaglio, dove l’indice sale dall’80,9 di giugno all’82,1 anche se la grande distribuzione invece continua a vedere nero.
In passato in questi anni più volte un piccolo segnale, un movimento quasi impercettibile nelle previsioni economiche ha consentito di spandere ottimismo facile e a buon mercato, annunciando segnali di ripresa sempre per i trimestri a venire. Salvo poi, quando i famosi trimestri arrivavano e la ripresa non si vedeva, lasciar passare sotto silenzio la previsione errata.
Adesso però, anche al di là degli auspici del ministro Saccomanni, qualcosa si sta rimettendo in moto. Piano, pianissimo, eppur si muove. Infatti i dati sulla fiducia seguono quelli sugli ordinativi il cui dato nel maggio scorso è cresciuto per il terzo mese consecutivo, a dimostrazione di una propensione al consolidamento che si traduce in un + 5,9% rispetto al minimo del febbraio scorso. E se perfino il durissimo super indice Ocse va nella stessa direzione, visto che la ricaduta dei cicli degli ordinativi si traduce sul Pil con sei mesi di ritardo, l’appuntamento con l’accenno di risalita coincide con l’autunno.
Tutto bene, dunque? Potrebbe essere la volta buona? Forse, perché una cosa sono i dati macroeconomici, un’altra i bilanci familiari e il lavoro che manca. S’ perché, se anche in autunno il ciclo dovesse riprendere, gli effetti ben che vada si vedranno a 2014 inoltrato. In effetti i dati sugli ordinativi sono più brillanti per chi esporta e ciò significa che le aziende interessate sono anche quelle che sono costrette a giocare su delocalizzazioni e fornitori presenti sui mercati globali. Di conseguenza, in questo caso, le ricadute occupazionali in Italia sono più contenute. Il rischio è che la spinta fornita dalla ripresa Usa e dall’ancora buon andamento, seppur rallentato dei Paesi emergenti, abbia effetti limitati qui da noi. Anche perché nulla ancora si muove sui prestiti alle aziende e tantomeno alle famiglie e il differenziale sui finanziamenti alle imprese italiane rispetto a quelle tedesche è di 150 punti base, a svantaggio - naturalmente - delle nostre.
Ecco quindi che le aspettative delle imprese non bastano, occorre la mossa decisiva e incisiva del governo per liberare risorse da destinare all’occupazione e al taglio di tasse per imprese e famiglie. L’ottimismo e le speranze di chi lavora sono già tanto. Ma l’esecutivo può fermarsi a questo e ai dati mondiali e deve sostenere la voglia di ripartire. Con opere, non con proclami.
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