Una serie di proiezioni che La Provincia ha rielaborato sulla base di alcuni dati forniti da Inps e sindacati, ci spiega che il nostro sistema previdenziale ha bisogno, per garantire a sé stesso qualche anno di vita in più, di un’iniezione di almeno 50 milioni di euro all’anno, a livello provinciale. La cifra, tradotta in forza lavoro - e in contributi - corrisponde più o meno al gettito previdenziale di 60mila lavoratori. Il calcolo, di cui diamo conto alle pagine 18 e 19, è lo stesso effettuato in questi giorni da molti organi di informazione nazionali, che hanno ripreso una foschissima previsione dell’agenzia Bloomberg, secondo la quale il vecchio continente avrebbe bisogno, per scongiurare il collasso del sistema, di 42 milioni di nuovi lavoratori da qui al 2020, addirittura di 250 milioni se l’asticella temporale avanza fino al 2060.
È, quella del welfare e del sistema pensionistico, una chiave interessante, e in parte anche inedita, per affrontare il tema dell’immigrazione, visto che i giovani stranieri - quelli che alla fine sceglieranno l’Italia - potranno rappresentare, in questo senso, una risorsa, sostituendo i tanti coetanei italiani che in questi anni sono salpati alla volta di altri lidi.
Abbiamo almeno due esempi virtuosi, con i quali confrontarci. In Irlanda, la fuga verso Usa e Inghilterra, è stata controbilanciata - tra il 2000 e il 2012 - da fenomeni di grande immigrazione, soprattutto dai Paesi meno avanzati dell’estremo Est europeo, che hanno contribuito alla successiva ripresa economica. E così negli Stati Uniti, se è vero, come è vero, che diversi studi certificano il ruolo attivo di una immigrazione anche poco, o per nulla, scolarizzata, nella crescita economica e nella recente ripresa dei consumi.
Ecco perché - semmai riuscissimo a strappare una tregua nel contesto della guerra eterna tra fautori dell’accoglienza a tutti i costi e sostenitori più o meno mimetizzati del primo ministro ungherese (quello del muro) - l’Italia meriterebbe una riflessione politica e strategica un po’ più lungimirante. Se fossimo in grado di ragionare senza metterci la solita foga e la solita “pancia”, potremmo per esempio calibrare i flussi se non proprio sulle esigenze del mercato del lavoro (sarebbe obiettivamente molto difficile), quantomeno sui profili di studenti, imprenditori, operai , in qualche caso incentivando magari anche i loro movimenti. L’immigrazione, in altre parole, può essere davvero la chiave per una crescita che ancora stenta.
Del resto, non bastassero i calcoli di Inps e sindacati, altri numeri dimostrano come e perché il nostro sistema previdenziale sia così prossimo al suo epilogo. Sono i numeri di una immigrazione di cui si parla meno, nonostante sia altrettanto importante. In base ai dati Aire (l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero) sono circa 900mila i connazionali che dal 1992 a oggi hanno scelto altre nazioni per costruirsi o per ricostruirsi una vita, un lavoro, una famiglia, a tutto detrimento del nostro sistema previdenziale e a tutto beneficio di quello altrui (oltre 200mila hanno scelto la Germania, altri 120mila si sono divisi tra Inghilterra e Francia). Il numero di migranti che, nello stesso lasso di tempo, hanno scelto il Belpaese per ricominciare a vivere, è di gran lunga più basso. Resta, sullo sfondo, il grande nodo del mercato del lavoro, che non è in grado di assorbire, in questo momento almeno, neppure un decimo delle richieste occupazionali. Ma prima o poi (si spera) finirà. E il rischio è quello di svegliarsi un bel mattino e di accorgersi che non siamo più abbastanza.
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