Ci sono dirigenti che rivolgono alle famiglie una sorta di appello sottolineando quanto sia indispensabile il contributo volontario per migliorare l’offerta formativa. Altri mettono le mani avanti e precisano che il versamento non è obbligatorio.
La sostanza resta sempre la stessa: ogni anno le famiglie, dalla primaria alle superiori, pagano una sorta di tassa di iscrizione occulta che va dai 50 ai 200 euro per sostenere spese di gestione e attività integrative (ancora non è legge tra l’altro la deducibilità di questa spesa dalla dichiarazione dei redditi). Si tratta di contributi fondamentali che vengono spesi per varie necessità: la carta delle fotocopie e i piccoli interventi di manutenzione delle attrezzature. E del resto i bilanci parlano chiaro se è vero che, al netto dello stipendio pagato agli insegnanti e al personale tecnico, i soldi versati dalle famiglie arrivano ad essere cinque volte tanto quelli trasferiti dal ministero.
Nel comprensivo Como lago il conto consuntivo 2014 segna ad esempio 236mila euro di entrate: zero soldi da Provincia e Regione, 14mila dallo Stato, 31mila dal Comune e 133mila dalle famiglie. Per il progetto minibasket, per un vetro rotto, per l’acquisto di un computer, per il corso di chitarra, per la frutta a scuola.
Non solo, è ormai prassi che sempre i genitori si impegnino, almeno un paio di weekend all’anno, nella manutenzione degli edifici. Si tratta di una lodevole forma di volontariato, significativa anche per il messaggio educativo trasmesso ai figli, ma anche in questo caso le famiglie suppliscono a una carenza del pubblico impossibilitato ad intervenire per la carenza di risorse economiche. Si tratta, nel complesso, di una situazione anomala che di anno in anno va aggravandosi.
Anche il ministro Giannini lo ha riconosciuto e - notizia di alcuni mesi fa – si è impegnata via Twitter ad aumentare il fondo a disposizione degli istituti. L’impegno, via social, ha alimentato la speranza ma si tratta di una goccia di fronte a un bisogno grande quanto un mare. È un fenomeno che con gli anni è diventato consuetudine e si è tradotto talvolta, anche se non nella nostra provincia, in situazioni grottesche con presidi che sono arrivati a subordinare l’iscrizione dei ragazzi al versamento del contributo. Serve, in questa materia, fare un po’ di chiarezza, definire regole precise e uguali per tutti, limitare anche la discrezionalità (in qualche caso disinvoltura) con cui i dirigenti hanno gestito la questione. Un conto è accettare un’erogazione liberale da parte di un genitore in un clima di trasparente collaborazione, altro imporre, spesso con formule molto ambigue, un balzello per un servizio che per definizione dovrebbe essere accessibile a tutti. E attenzione anche al ruolo dei genitori, spesso riuniti in associazione. Meritorio aiutare la scuola dei ragazzi inventandosi ogni sorta di strumento per raccogliere fondi. Ma il rischio di fare guai, in questo ambito, è sempre dietro l’angolo. Un conto è organizzare, ogni tanto, una vendita di torte fatte in casa, altro è trasformarsi in veri e propri fundraiser.
I genitori sono una componente fondamentale della scuola perché sono tali e di essi la scuola ha bisogno più che per raggranellare denaro per svolgere al meglio la propria missione educativa. L’autonomia è un valore che sta modernizzando la scuola italiana ma va coltivato con buon senso.
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