Bisogna dare atto a Matteo Renzi di avere indicato all’opinione pubblica una visione innovativa, un modo per uscire dalla crisi. E per farlo il premier non ha guardato in faccia nessuno, né le parti sociali né gli stessi compagni di partito.
Il Rottamatore scommette tutto sul cambiamento: una legge elettorale, con relativa abolizione del Senato, che è passata alla Camera con duecento voti di scarto nonostante l’ostilità dei suoi avversari e dei piccoli partiti («politica 1, disfattisti 0» il suo tweet); una manovra economica che taglia tasse ed Irap, sia pure con uno slittamento dei tempi
(peraltro messo nel conto da tutti gli osservatori). Obiettivo: cambiare la rotta dell’Europa nel semestre di presidenza italiana con le spalle coperte da un pacchetto di riforme che, se attuate, rappresenterebbero davvero una «rivoluzione» per stare alle sue parole.
Stile Obama (slide e risposte secche), un filo di nervosismo nell’esposizione del piano choc, Renzi ha puntato nella sua prima conferenza stampa di presentazione del vero progetto di governo a colpire la fantasia degli ascoltatori. All’immagine il premier attribuisce con ogni evidenza una parte delle possibilità di successo: 10 miliardi per 10 milioni di lavoratori sono in realtà solo uno slogan. Efficace però quando esso viene tradotto nei mille euro in più all’anno per i lavoratori che guadagnano meno di 25.000 euro nei dodici mesi.
Il piano, assicura il segretario-premier, partirà solo dal l’1 maggio a causa delle necessità tecniche legate alla rimodulazione delle buste paga, ma partirà. E marcerà in parallelo con un aumento delle aliquote delle rendite finanziarie (dal 20 al 26 per cento secondo la media europea) che servirà a tagliare del 10 per cento l’Irap. Ci sono anche fondi corposi per le imprese sociali, per l’edilizia scolastica, per la scuola e la ricerca che giungeranno dalla spending review e dal miglioramento del deficit (con un auspicato ulteriore calo dello spread). Sono promesse credibili? E soprattutto realizzabili nei cento giorni che il governo si assegna? Il premier risponde senza esitazione di sì e in qualche modo allarma anche l’opposizione berlusconiana. Non a caso gli azzurri lo accusano di aver affastellato una montagna di chiacchiere tutte da verificare (Brunetta). Il motivo è chiaro: se davvero la strategia renziana dovesse avere successo, il paragone con i precedenti capi di governo - e soprattutto con Silvio Berlusconi - si farebbe impietoso. Qualcosa si comincerà a capire dal modo nel quale il Rottamatore sarà accolto nelle cancellerie occidentali: sono in programma incontri chiave con François Hollande e Angela Merkel. Ma certo è la prima volta che un premier italiano presenta un progetto così impegnativo di cambiamento dello Stato. Il fatto che ciò coincida con la necessità di non fallire per restare agganciati all’Europa, tuttavia, ne rafforza la posizione. Ciò spiega perché Renzi si sia sentito di legare la sua avventura politica al successo delle riforme e in particolare alla fine del bicameralismo perfetto, il principale ostacolo sulla via della governabilità. Nella veste di segretario del Pd, Renzi ha un obiettivo ancora più ambizioso: dare corpo ad una vera sinistra di governo, capace di rottamare anche la vecchia questione dell’antiberlusconismo
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