Ma voi votereste un partito o una coalizione deprimente? No, eh? Ecco spiegata una delle principali ragioni per cui il centrosinistra continua a calare nei consensi. Dal 4 dicembre scorso, quando gli italiani voltarono con il voto le spalle a Renzi sul referendum per le riforme costituzionali, buttando via anche il bambino con l’acqua sporca (e in questo caso il fanciullo non è l’ex premier), il Pd e dintorni sono diventati qualcosa che ti fa venir voglia di tirar giù le serrande e aprire il gas. Certo, ora ci sono quelli che anticipano il brindisi di fine anno per la discesa in campo di Pietro Grasso e la nascita di “Liberi e uguali”. Ma è un’euforia effimera che durerà il tempo del tentativo di togliersi davvero dai piedi il sempre più precario segretario del Pd e poi chi vivrà vedrà.
La sinistra del resto è sempre quella. Riesce a stare insieme (a volte) quando si palesa un nemico all’orizzonte. Adesso che il ventennale spauracchio di Berlusconi, al di là del calcio dell’asino rifilato alla Boschi Santa Sebastiana trafitta dai dardi bancari, ha dirottato le sue attenzioni verso i grillini e snobba gli ex comunisti, i compagni o pseudo tali sono tornati a sbranarsi tra loro come certe specie di pesci tropicali.
Il più capace nel cucinare questa ricetta – gli riesce meglio del suo presunto impareggiabile risotto – è sempre lui, Massimo D’Alema, quello che “capotavola è il posto dove mi siedo io”, perciò nessun altro può permettersi di poggiare le terga. Una storia che non finisce mai. Che barba, che noia, che depressione appunto. Non che il povero Renzi, dal cui treno sono scesi in corsa il tristo Pisapia e persino il no quid Alfano (il convoglio affonda e…) susciti maggiore allegria. All’ex sindaco fiorentino e dei fedelissimi pronti a seguirlo fino al supremo sacrificio (politico), proprio se necessario, è rimasta solo la strategia del “meno peggio”. Sono convinti che alle prossime elezioni politiche tra un ex Cavaliere rigenerato ma sempre minestrone ultra ripassato sui fornelli e un Di Maio teleguidato dal mefistofelico duo Grillo-Casaleggio jr, gli italiani sceglieranno ancora una volta di turarsi il naso e consentiranno al Pd di poter dare ancora una volta le carte. Illusione? Lo scopriremo solo vivendo, certo non il massimo per un partito e un leader che fino al 4 dicembre 2016 sembrava la reincarnazione di Capitan Fracassa con davanti un’autostrada fatta tutta di discese.
Certo, fosse andata bene, anche il D’Alema acquattato dietro al cespuglio e pronto a rilanciare il suo gioco preferito: quello dello scorpione sul dorso della rana, forse si sarebbe rassegnato a una second life da esclusivo produttore di un presunto impareggiabile spumante, lo stesso con cui forse è stato intonato il “libiam ne lieti calici” per il presidente del Senato intruppato nella sua compagnia. Invece, rieccoci con il leader Maximo, formidabile ad approfittare degli errori altrui quasi come a non imparare mai dai propri, già in forma campionato non per vincere lo scudetto ma per far ripiombare l’odiato segretario del Pd in zona retrocessione ,ora assieme anche a Pisapia che ha capito che il suo Campo progressista non è dissimile da quello dei miracoli di Pinocchio. Può pure seminarci l’oro, ma non crescerà nulla.
Un film più visto dei cinepanettoni quello del centrosinistra che si cannibalizza che è un piacere. C’è da stupirsi che per ben tre volte (due mezza va, visto com’è andata l’ultima) gli italiani siano riusciti a mandare questa brigata al governo. Una masnada che non tradì le attese. Al primo Prodi subentrò, dopo regolare complotto, proprio D’Alema. Che caso. La seconda volta il Professore, che si stava dannando l’anima a tenere insieme un’Unione simile a un’osteria dopo il quinto giro di bianchi, fu buttato giù dall’apparente mite veltroni che innescò un Mastella già trattato da parvenù nel governo. Infine, a Enrico Letta toccò il benservito con il celebre #staisereno di Renzi. Che depressione.
Poi, per parafrasare Totò, lui sì impareggiabile, “dice che uno si butta a destra”.
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