Vero che il quadro sembrerebbe comporsi e assomigliare molto all’opera più famosa e inquietante di un pittore norvegese, Munch. Ma il passo tra il patto e il partito del Nazareno è più lungo di quanto si possa credere, nonostante i tentativi della minoranza Pd (che politicamente si muove come la mosca chiusa in un bicchiere rovesciato) di accorciarlo.
Sembra facile prevedere lo scenario: Giuliano Amato al Quirinale sensale del matrimonio tra Renzi e il rigenerato (politicamente) Berlusconi, con la firma di Alfano sul registro dei testimoni. Una maggioranza garantita Pd-Forza Italia e Ncd in Parlamento per fare la riforma elettorale e qualcos’altro così da giungere al 2018 (fine legislatura) per colpire divisi alle urne dopo aver marciato uniti nelle istituzioni. Andrà davvero così? Nessuno si pone la domanda successiva. Quella sulla prospettiva strategica per il premier. Conviene davvero a Renzi presentarsi davanti agli elettori per ottenere finalmente la legittimazione popolare, dopo un’alleanza con Berlusconi e senza una parte consistente del partito - l’attuale minoranza - a cui non resterebbe altro che creare una nuova formazione politica a sinistra?
Chiaro che la risposta è no. Altrettanto evidente che il premier-segretario del Pd intende utilizzare la partita del Quirinale per cercare di normalizzare il più possibile i rapporti interni al suo partito, altrimenti non resterebbe che andare al voto il prima possibile con la nuova legge. Sull’elezione del capo dello Stato, che dovrebbe rappresentare gli italiani, l’unità nazionale e le istituzioni comuni, si sta perciò giocando una partita che ha pochi precedenti nella storia repubblicana. Quella per cui la scelta è legata quasi esclusivamente a interessi di parte, che per Berlusconi significa la restituzione di quell’agibilità politica privata dalla condanna definitiva per frode fiscale.
Ma il vero paradosso è quello per cui, ancora una volta, l’ex Cavaliere bollito e dato per finito, sia tornato al centro della scena politica grazie alla sinistra. Un “rieccolo” degno del Fanfani immortalato da Montanelli nel giorno della chiamata alla guida dell’ennesimo governo. E non solo a causa di Renzi e del patto del Nazareno. Ma anche per la scelta, forse inevitabile, dei senatori della minoranza Pd che non hanno votato l’emendamento detto del “grande canguro” e sono stati sostituiti dagli esponenti di Forza Italia più fedeli al leader.
Berlusconi, come il cinese che aspetta sul fiume ha visto passare Prodi, D’Alema, Veltroni e Bersani. Ed è ancora lì, ancora centrale e determinante. Un caso psichiatrico più che politico nel centrosinstra e che induce a riflettere su come la nostra politica, nonostante le velleità di riforme, continui ad avvolgersi su se stessa e a restare lontana dai veri problemi del paese anche in una fase, segnata da timidi segnali di ripresa della crisi, in cui il sostegno della politica vera, nobile e autorevole sarebbe fondamentale. Forse bisognerebbe ripartire da qui per individuare la figura del nuovo capo dello Stato. Qualcuno che riesca a traghettare le istituzioni al di là dell’infinito guado.
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