La sostenibile leggerezza di Life Electric, oppure la sostenuta (a vanvera) pesantezza del monumento di Libeskind sulla diga foranea. Per mesi la polemica si è giocata su questo equivoco poi rivelatosi un clamoroso bluff. Perché la creatura che l’archistar ha voluto dedicare a Volta sarà quella che sarà, forse non bella (soprattutto negli occhi di chi la guarda con secondi o terzi fini), non sarà stata finanziata al mille per mille dai privati, magari farà sprofondare nel lago il tondello della diga che sta lì dai tempi di Cecco Beppe imperatore di quegli austriaci che la realizzarono a protezione del porto (in realtà il basamento, pieno di acciacchi, è stato rinforzato , ma pazienza), magari non ci azzecca neppure con Volta (anche qui si sconfina nel campo dell’opinabile) ma... Ma nessuno può dire che sia quel paventato mostro incombente sull’ impagabile skyline del nostro lago. Eh sì, perché per mesi, il nocciolo della questione e dei dibattiti sul monumento di lì da venire era stato soprattutto questo: l’opera di Libeskind sarebbe stata una grande cicatrice sul bel viso del lago e delle montagne.
E il bello che, al di là dei politici usi a sparlar di tutto a seconda del vento che li porta, non erano proprio chiacchiere da bar dopo il terzo Campari con il bianco. La tesi era sostenuta, magari anche in buonissima fede, da fior di professionisti armati di regolo e lì a buttar giù calcoli per dimostrare che il manufatto sarebbe stato una riedizione del Colosso di Rodi neanche ammesso al turno preliminare del campionato per le meraviglie del mondo.
Chiaro che la faccenda, con il fresco precedente del muro sul lungolago, avesse creato qualche ambascia nei comaschi. Oggi, con il monumento liberato di ogni velo, possiamo con tranquillità sistemare la faccenda accanto a quella dei coccodrilli che escono dai rubinetti (o dai tombini, chi si ricorda?) di New York, nel grande libro delle leggende metropolitane.
Anzi, se proprio si volesse muovere un rilievo all’opera potrebbe essere quello di essere fin troppo discreta. Alla fine, per vederne bene i pregi e i difetti, non si può fare altro che percorrere i 350 metri della metri e piazzarsi a tu per tu con Life Electric. Altrimenti questo temuto monumentone è quasi difficile notarlo, specie nelle giornate di sole in cui la superfice riflettente crea una sorta di effetto “mimetico”. Quando si accende la sera ha lo stesso impatto della fontana che si illuminava in viale Geno e piaceva a tutti.
Ci si può insomma sbilanciare (consci di esporre il petto a una salva di critiche e dietrologia) nel dire che il monumento di Libeskind si è inserito bene nel magnifico contesto in cui è stato collocato senza disturbare più di tanto. Certo meno delle tante parole spese (legittimamente ci mancherebbe) da chi lo vedeva come una sorta di gigante Golia e si armava di fionda per tentare di abbatterlo.
Purtroppo questa è una storia molto comasca. Di una città e di una comunità che, non solo in questo caso, dimostra spesso di aver paura del nuovo, peggio ancora se questo nuovo è ardito. E in cui l’erba del vicino è spesso color verde invidia. Per fortuna, però, che alla fine, di riffa o di raffa, Como ce la quasi sempre fa a cambiare e in meglio, come è successo negli ultimi anni.
Si vede che è nata sotto una buona stella. Che certo le contenute dimensioni di Life Electric non rischieranno di impallare.
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