Sotto l’accorta regia di Napolitano, il governo Renzi è nato con la singolare prerogativa di un premier che ricopre il duplice ruolo di “dominus” sia di un governo politico (con Alfano) che di un governo istituzionale (con Berlusconi).
Questa peculiarità nasce dall’intreccio di diverse contingenze che, in modo paradossale, rendono l’esecutivo più stabile di quanto si pensi. Il conflitto in corso tra Alfano e Berlusconi attribuisce, infatti, a Renzi il vantaggio di essere indispensabile per entrambi i leader della destra: Alfano ha la vitale necessità di dover stare al governo per “vigilare” ed esercitare un ruolo di interdizione sulla legge elettorale che, ove fosse disegnata solo da Renzi e Berlusconi, risulterebbe per lui certamente letale; del pari, l’intesa con Renzi consente al Cavaliere di rientrare in gioco e riaffermare la sua tetragona leadership all’interno della destra italiana sulla quale continuerà a gravare ancora per lungo tempo la sua pesante ipoteca.
Resta da capire il motivo per cui Matteo Renzi, dopo avere ripetutamente rassicurato Letta, ha poi deciso, in modo proditorio, di pugnalarlo senza mercé. Sarebbe riduttivo e fuorviante ipotizzare che la svolta strategica di “Demolition men” (come Renzi viene definito dalla stampa inglese), sia da ricondurre solo ad un empito narcisistico tenuto conto, altresì, che ben difficilmente il presidente Napolitano avrebbe assecondato le smodate ambizioni di un giovanotto affamato di gloria. C’è sicuramente dell’altro per cui sarebbe utile riflettere sulle ambiguità di una vicenda i cui profili emergeranno nei prossimi mesi con maggiore chiarezza. Partiamo da un dato: all’interno del capitalismo italiano stiamo assistendo alla formazione di una inedita alleanza tra Berlusconi, De Benedetti e Della Valle. Grazie alla sapiente mediazione di Draghi, questa singolare cordata è riuscita a persuadere la Commissione europea sull’impellente necessità per l’Italia di “sforare” il tetto del 3% di deficit: in cambio, il nostro Paese realizzerà le riforme necessarie per stabilizzare il debito. L’improvvisa accelerazione di Renzi scaturisce, pertanto, da questa “fideiussione” politica che l’establishment italiano ha accordato all’Europa. Sorge da questa intesa l’impegno di Renzi di realizzare in tempi brevi un programma di riforme idoneo a dimostrare ai partners europei che, dopo anni di instabilità, anche il nostro paese può contare su un governo serio e affidabile (ecco perché Renzi ora dichiara che il “suo” governo potrebbe restare in carica fino al 2018). Tutto ciò si può facilmente arguire dalla semplice lettura del “Giornale” i cui titoli a sostegno di Matteo Renzi non sono dissimili da quelli di “Repubblica”. Questa strana convergenza costituisce, invero, una novità di grande rilievo che rispecchia perfettamente i nuovi equilibri sorti all’interno di alcuni “poteri forti”. Tale chiave di lettura aiuta a capire molte cose dell’attuale scenario politico, compresa la sicumera con cui Matteo Renzi ostenta la propria convinzione di riuscire a portare a termine la sua missione nonché, per ultimo, l’astiosa levata di scudi di Marchionne e della famiglia Agnelli, definitivamente esclusi dai nuovi giochi di potere di un capitalismo gretto e provinciale che non perde il vizio di usare, in privato, la politica fingendo, in pubblico, di denigrarla.
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