Sarà che quando si mettono in moto gli svizzeri - anche se l’orgoglio diffida dal dichiararlo - , le cose ostentano sempre un aspetto più serio, ma ieri alla posa della prima pietra a molti dei presenti sembrava di toccare già con mano Expo.
Di fronte a quel materiale simbolico, a quel frammento del Gottardo esposto come su un trono e manovrato come un gioiello - e con la complicità del plastico - la sensazione era di poter vedere e gustare il Padiglione elvetico.
Poco importava che di visibile in realtà ci fosse ancora poco, trattandosi del via di un cantiere. Anche allargando lo sguardo, si potevano cogliere timidi inizi di strutture e deserti completi attorno. Ma intanto in qualche modo si respirava il mondo: quello che è lo sterminato cantiere di Expo, con le gru che si moltiplicano e l’altro, quello “vero”, vale a dire il pianeta che verrà qui unito dal filo del nutrimento.
Gli svizzeri hanno saputo comunicare, tra una marea di dati, lo spirito della loro partecipazione. Senza timori di prendere direzioni insospettabili, che possono apparire azzardate magari. Ad esempio, il cioccolato esce di scena e non delizierà nelle torri occhi e palati dei visitatori: non è possibile, per motivi tecnici. Invece, compare il sale che non è proprio nella top ten dei prodotti per cui una persona immagina la Confederazione. Sbagliando, perché - si è ribadito ieri - le saline hanno una loro tradizione.
C’è la mela a mettere d’accordo tutti, tradizionalisti e innovatori. E tra plastico, bici, palloncini e un’avvenente “ambasciatrice” la Svizzera che ha firmato per prima il contratto con Expo, porta in dote la sua concretezza e la offre: roba da credere che anche il cielo blu di ieri fosse stato ampiamente prenotato.
Concretezza che peraltro non è “solo” nell’avviare un cantiere, ma nei posti di lavoro in ballo, per cui gli organizzatori sono stati subito presi d’assalto. E c’è da scommettere che la corsa a questo spazio proseguirà, se non accelererà.
Insomma, il Padiglione Italia continua a sbocciare, niente da dire. Ma è importante anche quanto comunicato dai nostri vicini ieri. Prima di tutto, per come l’hanno comunicato. Con cifre, orgoglio, unendo regioni diverse, a volte sofferenti nei confronti del centro della Confederazione (e dell’Italia), non temendo di scartare o scegliere le strade a seconda della loro praticabilità.
Un piccolo promemoria per il nostro Paese e anche per Como, che ora giocherà la sua partita in un campo ufficiale ridotto (non lo stand, ma un ufficio nel Padiglione Italia). Si deve arrivare preparati, tant’è che se il referendum bocciasse la partecipazione del Ticino a Expo, il Cantone ha già pronto il suo piano B. Si deve fare squadra. E naturalmente si deve essere se stessi, costi quel che costi.
Expo si è lasciata gustare ancora un poco ieri e ha ingolosito per un giorno, lasciando però un sapore deciso.
Expottimisti o diffidenti cronici: quell’area infinita su cui le gru si stanno muovendo con ritmi differenti è a disposizione, come una piattaforma di occasioni. Chi resta a guardare, non ne afferrerà mezza. Neanche chi pensa di avere già i 20 milioni di visitatori in tasca, probabilmente farà molta strada.
Il piatto è servito, per chi si metterà in cucina con gli ingredienti migliori e disegnerà menu accattivanti. E non da solo.
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