in un mondo che amiamo definire con l’orribile termine “globalizzato”, vale la pena tenere i piedi per terra e partire a lavorare con i propri vicini.
Che spesso - non lo rammenta solo la saggezza popolare - sono quelli con i quali è più difficile trattare, è vero. Ma in questo oceano dove tutti possono influire sulla vita di tutti, dove i Paesi più lontani hanno la capacità di frenar e oppure rilanciare un prodotto di casa nostra con la loro politica e con manovre leali o meno, è buona cosa comprendere che forse non è opportuno cominciare dalla fine del mondo.
Lì, fuori dalla nostra porta c’è già una buona dose di lavoro da affrontare. Siamo tutti nella stessa barca, ma i primi con cui ci troviamo a contatto, sono gli svizzeri che non conosciamo mai abbastanza.
Ieri ci hanno chiarito come non siano proprio iscritti al Burocrazia italiana fan club, poiché, in fin dei conti, i danni in qualche modo li pagano pure loro. A parte il caso della black list, quello che non funziona da noi ha effetti su di loro. In modo occulto, ma anche visibilissimo: basti pensare alle infrastrutture, alle nostre strade perennemente congestionate che per forza di cose significano ritardo (concetto particolarmente sgradito agli svizzeri) da condividere con i Paesi dove i mezzi sono diretti.
Proprio la Svizzera era stata definita nell’ultimo rapporto della Camera di commercio di Como, uno dei salvagenti più preziosi per l’economia lariana. Si tratta di cambiare mezzo e in queste acque tempestose respirare ringraziando del soccorso, ma salire su un’imbarcazione, appunto, su cui si viaggia insieme.
Chiunque abbia fatto l’esperienza di vivere in mare, ha la consapevolezza di come ogni gesto, ogni abitudine, ogni movimento sia tale da avere ripercussioni sull’altro. Una consapevolezza che sta emergendo con maggiore forza in entrambi i territori, di questi tempi. E forse può essere una di quelle scoperte benefiche che dobbiamo alla crisi.
Che ci fa ripensare a ciò che siamo e dove possiamo andare. Che ci spinge a guardarci attorno e i primi che incontriamo sono proprio gli svizzeri. Dobbiamo smettere di invidiare e cominciare a copiare ciò che funziona altrove, si ripete da (troppo) tempo, specialmente se a pochi passi da noi.
Su questo fronte, ora Como ha dato il primo segnale e ha rotto il ghiaccio con la proposta della zona franca della burocrazia attraverso il tavolo per la competitività e lo sviluppo, vale a dire il cuore della provincia economia, sociale, politica. La sua mossa si è unita con armonia al lavoro della Commissione regionale creata proprio per i rapporti con la terra elvetica e ha incassato il favore del governatore Roberto Maroni, ribadito venerdì a Villa del Grumello dall’assessore regionale Mario Melazzini.
Affermare che tutto va bene in Svizzera è un luogo comune ormai smontato dai fatti. E ieri ce l’hanno confermato i ticinesi, raccontandoci i loro problemi e aprendo le porte del dialogo.
Del resto, pochi giorni fa un’inchiesta promossa da Economiesuisse e Camera di commercio del Canton Ticino (a eseguirla Ihk) rilevava come i cittadini percepissero un peggioramento del quadro macro economico. E auspicassero una riduzione della spesa pubblica e dell’indebitamento.
Una musica nota dalle nostre parti. Della serie, tutto il mondo può essere Paese. Persino nel giardino verdissimo dei nostri vicini.
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