La settimana ticinese -provvisoriamente - più tosta è quella che mette sul piatto i referendum, alcuni con i frontalieri al centro.
Un paio spiccano per il punto esclamativo: “Prima i nostri!” e “Basta dumping in Ticino!”. Uno stile che racconta anche un clima, dai nostri vicini. Ma intanto la punteggiatura che sembra caratterizzare maggiormente la realtà di Confederazione e Cantone è un’altra.
Si tratta del punto interrogativo. Perché la Svizzera procede come un treno, magari meno rapido del solito, ma viaggia bene. L’ultimo dato, fotografato proprio ieri, riguardava l’export, cresciuto ancora in agosto, del 7%. Questo con un surplus della bilancia commerciale che si può definire rispettabile: 3 miliardi di franchi,vale a dire 0,2 miliardi in più rispetto a luglio.
Ma questo treno viaggia su due binari che a volte sembrano portare a destinazioni ben diverse, e qua e là hanno pure i banchi di nebbia.
La Confederazione impegnata a dialogare con l’Europa o almeno a provarci: intanto però c’è l’applicazione del referendum del febbraio 2014, indigesto per l’impatto sulla libera circolazione. Quel freno agli stranieri, che crea problemi non solo con l’Unione europea e che è diventato ancora oggetto di un colloquio tra Schneider-Ammann e Juncker due giorni fa. Lo stesso nuovo accordo fiscale tra Svizzera e Italia, già portato avanti dai tecnici e in attesa del voto politico, contiene un monito forte: niente comportamenti che possono apparire come vessatori o salta. E non sono mancati segnali ticinesi interpretati in questo modo, dai Comuni che promuovevano il marchio antifrontalieri al nuovo albo degli artigiani Lia.
Bisognerà dunque osservare cosa accadrà con i due referendum, quello sulla priorità ai residenti nel lavoro e sulle azioni per evitare le disparità di salario. Il mondo economico ha già avuto modo di esprimersi in modo forte su quest’ultimo punto e preferire in gran parte il controprogetto.
Ma sono emblematiche a questo proposito le parole del direttore della Camera di commercio ticinese Luca Albertoni. Si preoccupa perché - afferma - «la libertà imprenditoriale non può essere vigilata o condizionata». E già qui si respira un clima da Italia. Proprio riferendosi al modello italiano (e francese) a cui si ispirerebbe il voto antidumping accosta tra virgolette ironiche la parola “invidiabile”.
Certo che il modello italiano è tutt’altro che invidiabile. Ma adesso quello della Svizzera e del Canton Ticino offre molte meno certezze del solito.
Ieri da Berna arrivava la notizia della tassazione ordinaria a cui possono fare appello (pur pochi) frontalieri. Il governo ticinese non ne sarà fan, ma prima ancora: tutto questo come e quando avverrà, tanto più che c’è il nuovo accordo fiscale con l’Italia che incombe? Sui social network la perplessità è attenuata dal pragmatismo di un lavoratore: «Se ci pagano uguale, va bene».
D’accordo, ma intanto ricordiamo che c’è anche una tassa sui parcheggi entrata in vigore il primo agosto, poi congelata per l’intervento del tribunale, su cui le aziende sono invitate però a fare accantonamenti onde evitare di trovarsi un salasso a fine anno in caso di suo ritorno. E il nuovo albo antipadroncini (definizione dei media ticinesi) Lia? Si parte, sì ma le sanzioni più tardi. Costa un tot: no, troppo, tagliamo la cifra. E via dicendo.
Di questi tempi, le certezze perdute sulla Svizzera sembrano crescere, sospinte - anche - dal vento dei referendum. L’unica che resta, anzi si rafforza è la lontananza tra la Confederazione e il Cantone.
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