La cosa migliore è abbassare i toni a provare a dialogare. In una vicenda come la riorganizzazione delle mense scolastiche, era inevitabile che genitori e amministrazione comunale si scontrassero. Nei primi c’è la condivisibile preoccupazione che un cambiamento così radicale (i centri cottura passeranno da diciassette a uno soltanto) determini un calo della qualità media del servizio. Il Comune, dal canto suo, si è trovato ad affrontare una partita aperta da molti anni e che rimandare, probabilmente, non si poteva più. I costi dell’attuale organizzazione non sono più sostenibili e non è del resto nemmeno immaginabile reperire le risorse necessarie per ammodernare e mettere a norma le attuali strutture. Certo, si poteva immaginare un provvedimento diverso, magari meno netto e repentino, va detto però che su questo, come su molti altri terreni, Como sconta un ritardo oggettivo rispetto ad altre città e correre era in qualche modo una via obbligata.
Si tratta di un passo indietro rispetto alla situazione attuale? Per il momento è corretto definirlo un rischio assunto a fronte di una situazione drammatica della finanza locale. Il voto in Consiglio di lunedì sera, al di là dell’esito su cui la maggioranza dovrebbe fare una seria riflessione, segna un punto di svolta.
A questo punto sarebbe opportuno che, al di là della legittima e per certi versi doverosa protesta, le due parti iniziassero a parlare. Di più, a collaborare.
C’è bisogno dei genitori, soprattutto nella fase di implementazione del servizio, per verificare che tutti i tasselli vadano al posto giusto. Perché la valutazione reale della nuova organizzazione, al di là dei penosi argomenti del dibattito politico, si misurerà solo quando si potrà toccare con mano la qualità dei pasti. Il Comune, dal canto suo, ha l’obbligo morale di impegnarsi a valutare correttivi, magari recependo proprio le indicazioni dei genitori, per ovviare a eventuali mancanze del servizio. I primi saranno freddi o scotti? Non si riuscirà a garantire la consegna nell’arco di mezz’ora? In entrambi i casi l’amministrazione deve garantire opportuni correttivi in corso d’opera.
La riorganizzazione non può essere servita alle famiglie come un prendere o lasciare, il voto del consiglio comunale deve essere il primo passo per avviare una riforma che, se ben indirizzata e gestita, può essere un’occasione preziosa, la migliore garanzia per evitare che il servizio finisca ai privati, che peraltro sono tutt’altro che da demonizzare, nel giro di qualche anno. Certo, è un rischio e l’obbligo di cambiare abitudini può generare disagi e difficoltà.
Una parte fondamentale in questa vicenda ce l’avranno anche i lavoratori. Su questo bene è bene essere chiari: 77 cuoche a tempo indeterminato sono un onere molto importante per il Comune e quindi per la comunità nel suo insieme che se ne fa carico con un carico di tassazione praticamente al massimo consentito. Si tratta di un costo, certo, ma anche di una risorsa perché, almeno sino ad ora, la qualità dei pasti serviti è stata mediamente elevata.
La professionalità delle cuoche – e il loro impegno – sarà decisiva per l’avvio della riorganizzazione. Anche nel loro caso si tratta di una sfida, o diventare protagoniste del cambiamento e prime garanti del proprio futuro in seno all’amministrazione o cedere alle sirene di un sindacalismo corporativo incapace di misurarsi con la realtà. In questo caso, finiremo tutti in un vicolo cieco.
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