L’idea trasformare Villa Olmo nel polo culturale di Como non è nuova. Ma è assolutamente sensata. Di più. È una scelta naturale.
Il progetto abbozzato dal Comune, in tandem con la Camera di Commercio e l’Amministrazione provinciale, prevede la valorizzazione della villa settecentesca come sede espositiva e congressuale, il recupero del primo e del secondo piano, la sistemazione del parco (dove è previsto anche un teatro all’aperto), della recinzione e delle splendide serre in stile liberty.
Il piano si estende anche alla vicina Villa Saporiti, sede della Provincia, dove sono previsti interventi al piano terra e nel parco.
L’idea è suggestiva, non c’è che dire. Il problema, al solito, sono i soldi. Tutto (o quasi) è aggrappato ai 7 milioni messi a disposizione dalla Fondazione Cariplo. Soldi di cui, ad oggi, non c’è alcuna certezza, visto che il bando scade il 15 novembre. Tanto più che si tratta, per ammissione dello stesso sindaco Lucini, di un “Piano B” - graditissimo al Comune, alla Camera di Commercio e alla Provincia - nel caso in cui fallisse l’operazione campus.
Il viaggio di ieri a Villa Olmo, nel suo parco e alle serre ha regalato un quadro sconfortante, che giustifica l’entità del progetto. Ad eccezione del piano terra e del giardino antistante la villa, tutto il resto richiede un vigoroso intervento di manutenzione. Più che straordinaria, strutturale.
Il primo piano è ancora passabile (a parte le pareti e il parquet), il dramma è al secondo, che fino al 2011 ospitava il Centro Volta. La sensazione di abbandono, lungo i corridoi, è totale: archivi abbandonati, infiltrazioni, muri scrostati, infissi, lucernari e pavimenti in cotto da rifare. Il parco è, tutto sommato, in condizioni accettabili, ad eccezione della recinzione che alterna ruggine, tratti mancanti e filo spinato. Ma l’idea di un percorso botanico e di un teatro all’aperto potrebbero certamente garantire un salto di qualità all’intero compendio, a maggior ragione quando sarà finalmente aperto il ponte di collegamento con le serre, che oggi sbuca in un prato abbandonato. La struttura, di stile liberty, è potenzialmente fantastica, come dimostra l’esempio delle vicine serre di Villa del Grumello, recentemente ristrutturate.
Il Comune, due giorni fa, ci ha consegnato un sogno. Che fa raddoppiare la rabbia e lo sgomento. Com’è stato possibile lasciare andare in malora un simile gioiello? «È evidente che se nei lustri si fosse fatta manutenzione ordinaria, oggi non ci troveremmo in questa situazione», ha detto ieri l’assessore al patrimonio Iantorno. Vero.
L’ultimo intervento di manutenzione straordinaria di rilievo risale al 2002, con il rifacimento del tetto e delle facciate della villa neoclassica realizzata a fine ’700 da Cantoni per il marchese Odescalchi.
Poi il nulla o quasi, ad eccezione dei lavori ai serramenti del 2009 e poco altro.
Non si poteva fermare il degrado prima? Non si poteva pensare a un intervento strutturale quando i soldi, bene o male, c’erano ancora e gli enti locali non erano sull’orlo della bancarotta?
Un centro espositivo e culturale di alto livello, prima di tutto, deve poggiare su una struttura ben curata. E invece no. Lustri di ignavia ci hanno portato a quella che l’assessore Gerosa definisce una situazione «dolorosa». Per troppi anni ci si è limitati alla ciliegina (le grandi mostre) senza preoccuparsi della torta. E il risultato è questo.
Ora ci ritroviamo a raccogliere i cocci, sperando nel “Piano B” e nei soldi della Fondazione Cariplo. Legittimamente contesi, per altro, da un “competitor” di pari dignità: il campus universitario.
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