La volontà di Paolo,
che grande esempio

Zampognari ne restano pochi in giro, l’atmosfera di festa sincera nelle famiglie scarseggia , come i soldi in una busta paga che spesso non c’è più. Che cosa c’è da dire di questo Natale? Mah, parrebbe poco niente. Meglio così, spegniamo il pc e andiamo a casa a fissare il vuoto.

Sui social spuntano le solite indisponenti frasi fatte, che vogliono dare l’illusione di essere tutti un po’ più buoni e che, invece, velano la realtà dei post successivi, pieni di malignità e sarcasmo cattivo. Per fortuna c’è Paolo. Ha 19 anni, è di Cantù e ha deciso di vivere alla sua maniera. Con una gamba in meno. Sì, dopo aver sentito molti specialisti, anche in Germania, ha raccolto tanti pareri diversi sul modo più giusto di curare un tumore che gli crea guai dal 2008. Tanti consigli, ma quello giusto Paolo ha deciso che se lo sarebbe dato da solo: farsi amputare la gamba sinistra.

Ci ha pensato tantissimo, si è fatto seguire in questa sua decisione da uno psicologo e le ha dato corso. Ora Paolo ha una gamba sola, ma nella foto scattata in ospedale dopo l’intervento di amputazione sorride e alza l’alluce che gli rimane, come di solito si fa con il pollice, per dire ok, tutto bene.

Il suo Natale sarà così, tutto ok.

La sua non è una storia di Natale strappalacrime, perché lui non ha proprio nulla per cui essere compatito. Anzi, Paolo ha scelto di avere una gamba in meno per essere ancora più forte nella lotta contro la malattia; gioca a basket nella Briantea 84 e fa il conto alla rovescia per tornare a giocare. Spera di poter essere sul parquet per la Befana. Fa programmi, ha un calendario, ha le idee chiare, non ha tempo da perdere per ascoltare chi avesse la tentazione di dirgli «poverino...». Il programma. Gli atleti vivono di programmi. Ore di sonno ideali per essere in forma, pasti agli orari giusti per mantenere il fisico a posto, ore di allenamento e di riposo da alternare senza sbagliare, senza voler strafare o al contrario non voler fare. Se si sbaglia il timing è un caos.

Durante la settimana come in partita. E non c’è “poverino” che tenga. Se vuoi vincere devi lottare e se vuoi lottare devi essere pronto alla lotta, ma se vuoi essere pronto alla lotta devi essere un guerriero. E guerrieri non si nasce, ci si costruisce, ora dopo ora. Paolo ha una fame di vittoria da fare impallidire Michael Jordan. La differenza tra un guerriero e un arrendevole è tutta lì. Paolo, basta guardarlo nella foto in ospedale, è un guerriero. “Poverino” lo dicano a qualcun altro. Lui non ha tempo. Deve tornare in campo. Quanto sarà difficile? Lo sarà, sicuramente, ma a vedere quel ragazzo viene voglia di stampare il suo sorriso 50x70 e appenderlo in cucina. Prima di colazione un’occhiata e via, più energia di pane e nutella. Pronti a spaccare il mondo e a dare un calcio alla tentazione di fissare nel vuoto e deprimersi. In effetti, quando si fanno i conti con la malattia la depressione è un’opportunista straordinaria; è lì, ti sta sulla spalla, in tasca, e appena molli: zac!

Ti si infila nel cervello e te lo svuota. Paolo pare che il cervello lo voglia pieno, pieno di sè. Niente lacrime allora, nella storia di Paolo non c’è niente retorica e niente che fa piangere, anzi c’è tanto che riempie di speranza e fa gioire. E se ride lui ci si può fidare. Tutti guerrieri.

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