Più che un cambio di passo, all’apparenza è stato un colpo di reni. Perché per i suoi primi dieci-undici mesi la nuova giunta di centrosinistra di Como guidata da Mario Lucini sembrava vivacchiare, tirare avanti senza grandi sussulti. E la città, giustamente, cominciava a mugugnare.
Sì, giustamente perché non si scorgevano segnali percepibili di un cambiamento rispetto alla disastrosa precedente amministrazione (se non nello stile che non è poco ed è poco alla stesso tempo). Poi, come in un Carosello di quelli di una volta - mica i tristissimi 2.0 che ci sta propinando la Rai in questi giorni - tutto d’un tratto è arrivato il coro. E che coro. La nuova Ztl (discutibile e da discutere ma che dà un segnale di novità proiettato sul futuro dell’identità cittadina), l’insperato recupero del progetto per le ex Ticosa (sia pure riadattato ai tempi cupi che stiamo vivendo e amianto permettendo). Infine il lungolago. In due fasi. Quella della passeggiata riaperta per l’estate, grazie all’intervento degli sponsor, delle associazioni e delle categorie che hanno però trovato la porta aperta a palazzo Cernezzi. Infine quella di una promessa elettorale che forse, incredibile a dirsi, non resterà tale.
Il forse resta lì. Perché se è vero che chi si è scottato ha paura anche dell’acqua fredda e quella del primo bacino è addirittura tiepida, adesso Como vuole vedere cammello. E si può star certi che da qui alla scadenza prevista per il ricongiungimento della città al suo lago, saranno tanti gli occhi puntati sul cantiere: primi fra tutti quelli di questo giornale che la battaglia per il lungolago l’ha combattuta subito. Il rischio che Lucini e i suoi ora non devono correre è quello di adagiarsi sugli allori. Aver trovato la quadra per sbloccare il groviglio del lungolago è un buon risultato. Anche sotto il profilo politico. Visto che l’interlocutore, la Regione è rimasta targata Lega-Pdl. E il paradosso, volendo vedere, è che al centrosinistra sia riuscito ciò che il centrodestra non ha potuto o voluto fare. Convincere cioè il Pirellone a cambiare rotta. Vero che all’epoca fu soprattutto per l’intervento di Formigoni che il muro sul lago finì in macerie. Ma poi neppure l’ex governatore potè risolvere tutti i pasticci inventati dai suoi epigoni comaschi. Va dato merito a Roberto Maroni di aver puntato verso le nostre parti antenne più sensibili. Che hanno saputo cogliere gli sos lanciati dalla città.
Per una volta, forse, gli interessi generali hanno prevalso su quelli di parte. Roba da non crederci., E infatti non ci si crederà finché il cantiere non sarà concluso e sarà svelata la nuova passeggiata, con piazza Cavour che finalmente troverà l’identità attesa da decenni. Nel frattempo Lucini e i suoi devono andare avanti. Perché se c’è una cosa che a Como non manca sono i problemi. Se è vero che finalmente si vede il cambio di passo della nuova amministrazione, c’è da camminare ancora per quattro anni. La strada è lunga. L’esiguità delle risorse la rendono anche stretta e piena di curve. Tra le luci che forse torneranno ad accendersi oltre le cupi palizzate del cantiere ormai ex paratie restano le ombre di una città ancora troppo trasandata per poter essere considerata a misura di turista. Di una popolazione che giorno dopo giorno scopre difficoltà inedite per la crisi economica. Di un traffico e di inquinamento che neppure la nuova zona senz’auto (quando arriverà) riuscirà ad attenuare. Di strade sempre meno praticabili per le buche. Insomma. come diceva qualche politico trombone (ammesso che ve siano con la sordina) tanto è stato fatto, tanto resta da fare.
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