Dai diamanti non nasce niente. Via Del Campo e le strette vie di Genova sono lontane da noi e forse, oltre a pucciare i piedi in acqua, le due città non hanno molto in comune. Ma i versi di De Andrè raccontano una lezione che Como, in questa estate in cui la parola “crisi” è inflazionata più del tormentone calippo di molte stagioni fa, sembra aver imparato.
Alla faccia degli errori, delle difficoltà, dei bilanci che non tornano, di scelte sciagurate, di un’economia in ginocchio, la nostra città prova a rialzare la testa. E lo fa scegliendo dal mazzo le carte migliori.
L’arte del teatro e il bello delle sua vera ricchezza: il lago. Ha fatto bene il prefetto, Michele Tortora, nel suo intervento a ricordare non solo l’inaugurazione della nuova - ancorché temporanea - passeggiata, ma pure lo splendido progetto del Teatro Sociale che, per i suoi 200 anni, ha regalato alla città l’Arena e uno spettacolo che ha saputo coinvolgere ed appassionare i comaschi come raramente è avvenuto in passato.
«Quando cittadini, istituzioni e imprenditori si mettono assieme possono fare cose importanti» ha sottolineato il prefetto, poco dopo aver detto: «Qualcosa si muove».
Già, qualcosa si muove. Ed è giusto - come ha anche ricordato il sindaco Mario Lucini - non cadere nell’errore di lamentarsi, in giornate come queste e di fronte a segnali indubbiamente positivi, in cui il motto che strillavamo da bambini mentre armati di improvvisate spade di legno imitavamo i Moschettieri, uno per tutti e tutti per uno, potrebbe tranquillamente risuonare anche tra i tanti che si sono messi assieme per portare a termine il progetto Arena prima e quello della passeggiata ora. Però ogni medaglia ha due lati. E mai come ieri sera le due facce contrapposte erano così evidenti: da un lato la restituzione ai comaschi e ai turisti del “luogo del delitto”, il punto in cui tutti i guai sono cominciati con lo sciaguratissimo muro pensato per difendere la città dal lago, ma che avrebbe inesorabilmente ferito a morte Como; dall’altro lato lo squallore di quelle pareti in legno che da anni negano ai comaschi la gioia della vista del Lario, tra piazza Cavour e Sant’Agostino.
Davvero mai come ieri quella differenza, che suona come una spaccatura temporale tra un passato pieno zeppo di errori e scandali e un futuro in cui ci piacerebbe voler credere, era visibile. Talmente lampante da suonare come un monito alla città. Se torneremo a pensare a Como nei termini in cui è stato fatto fino a una manciata di mesi fa, senza una vera progettualità ma trasformando antichi problemi in un’occasione per fare promesse vuote, di quelle che si spezzano alla prima difficoltà, vorrà dire aver dimenticato il fermo immagine che ieri sera si è impresso sulla retina e nelle teste dei comaschi. Se invece si continuerà sulla strada intrapresa - per certi versi anche grazie alla crisi economica - una strada fatta di alleanze, di lavoro spalla a spalla, di progetti condivisi, allora davvero si potrà guardare all’oggi come a un insegnamento e al domani con fiducia.
Da parte di tutti noi non sarà sufficiente godere di questi inattesi regali. Ma dovremo tutelarli, rispettarli e contribuire - ognuno come può - a coniugarli in nuovi spunti che sappiano fare di Como un piccolo laboratorio su come uscire dalla crisi. Un laboratorio in cui fischiettare un motivetto scritto a Genova da un grande cantautore, che sapeva molto bene che è dal letame che nascono i fiori.
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