L’altolà del Colle
e lo spettro delle urne

Nella partita tra i due «cavalli di razza» del Pd, Letta e Renzi, si è inserito con tutto il suo peso politico Giorgio Napolitano.

Il capo dello Stato, nel suo discorso alle massime cariche istituzionali, ha sottolineato il rischio di pericolose scosse sociali (di cui la rivolta dei «forconi» è solo un sintomo) indotte da una crisi che «morde» al di là dei freddi numeri di un Pil che ha smesso di arretrare.

Non ha torto, in questo senso, il presidente della Repubblica quando avverte che gli italiani vogliono risposte ai problemi che spingono

sempre più persone alle soglie della povertà, e non le elezioni anticipate. Servono riforme, una volta per tutte, quelle riforme di cui si discute da trent’anni (monocameralismo, taglio del numero di parlamentari, abolizione delle province, una buona legge elettorale): il monito del capo dello Stato si è spinto fino a rinnovare la minaccia di dimissioni ove non si riuscisse a realizzarle secondo l’accordo che era alla base del rinnovo del suo mandato. C’è anche un appello a Forza Italia perché non abbandoni il tavolo delle riforme proprio ora, anche se naturalmente il patto 2014 dovrà prendere le mosse dalla maggioranza di governo.

Si tratta di un discorso complesso e che tuttavia dimostra indirettamente come lo spettro del ritorno alle urne gravi sempre sull’orizzonte dell’esecutivo Letta. Il capo dello Stato tenta di porre un argine a quelle che definisce «incognite politiche indecifrabili» con un accenno implicito - a quanto pare - alle prospettive della segreteria Renzi e ai disegni di Silvio Berlusconi il quale per ora ha fatto respingere dai suoi l’invito a collaborare sulle riforme. Il capogruppo Brunetta, anzi, ha criticato il capo dello Stato per aver «travalicato’’ i limiti della sua funzione.

Per il momento il premier si fa forte dello scudo del Colle e pensa a proseguire rapidamente nel varo della legge di stabilità e di una serie di provvedimenti che rispondano alle richieste del sindaco rottamatore. Ma è sempre più chiaro che la vera prova del fuoco sarà costituita dalla riforma elettorale: un terreno sul quale Letta teme la saldatura tra la linea renziana (favorevole ad un rapido ritorno al Mattarellum) e quella berlusconiana che apparentemente la asseconda. Anche Grillo si potrebbe aggiungere allo schieramento favorevole ad un ritorno al Mattarellum. Sarebbe la quadratura del cerchio se non fosse che questa legge non piace agli alfaniani, timorosi di una progressiva marginalizzazione. Per il Nuovo centrodestra il pericolo è quello di trovarsi alle prese con un meccanismo che lo costringa a tornare sotto le ali di Forza Italia in una posizione di sostanziale vassallaggio.

In realtà c’è una contraddizione latente in questa partita: il varo di una nuova legge elettorale potrebbe causare il ritorno al voto, cogliendo allo scoperto i centristi che hanno bisogno di tempo per attuare una riunificazione all’ombra del popolarismo europeo (Ncd, Udc, nuovi popolari del ministro Mauro). L’ipotesi potrebbe essere l’unificazione delle europee e delle politiche. L’alternativa? Un patto di legislatura che giunga almeno al 2015, come sollecitato appunto da Napolitano.

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