Altre lacrime sul Mediterraneo: ieri è stata la volta di un barcone con 250 immigrati a bordo, rovesciatosi a 70 miglia da Malta. Numeri che si aggiungono ad altri drammatici numeri del disastro di settimana scorsa: a ieri i morti accertati del naufragio all’Isola dei Conigli erano 339. E per rendersi conto delle dimensioni di queste tragedie è bene sentire la voce di chi queste tregedie le ha viste in faccia. E toccate con mano.
«Noi lavoriamo con le maschere piene di lacrime». È difficile non restare colpiti da questa frase di uno dei 40 subaquei che da una settimana lavorano per riportare a terra le vittime della più tragica strage di migranti degli ultimi anni. Sono questi gli uomini che hanno visto e ci hanno raccontato di quella mamma che si era inabissata prigioniera della barca, tenendo stretto tra le braccia il suo figlioletto sette/otto anni: così l’hanno trovata. Sono loro che hanno visto la donna incinta di sette mesi che si era messa nella cabina di prua. Alla fine il bambino era uscito dal grembo, restando legato con il cordone ombelicale. «Di cose sotto il mare ne abbiame viste tante, ma come quelle di cui siamo stati testimoni in questi giorni, non ci era capitato mai», hanno raccontato.
La storia del naufragio di Lampedusa è diventata anche la loro storia. Sono i sommozzatori di Finanza, Vigili del fuoco, Carabinieri e Capitaneria di porto che si sono alternati nelle immersioni. Gente che ha toccato con mano e che è stata “toccata” dalla portata di questa tragedia. Attarverso le loro maschere bagnate fuori e dentro - fuori dall’acqua del mare e dentro dalle lacrime - si ha uno sguardo umanamente più compiuto di ciò che è accaduto. Come ha raccontato Giuseppe Del Giudice, finanziere, uno di quei 40: «Ho visto occhi senza vita che non ti togli più di dosso. È una cosa che rimane».
È uno sguardo che non tocca solo quelle centinaia di povere vittime e il loro dramma. Quello sguardo dobbiamo immaginarlo anche come uno specchio che svela un’Italia che non ha diritto di cronaca ma che invece dovremmo guardare tutti con ammirazione e gratitudine. Non è affatto scontato quello che i 40 sub hanno fatto in questi giorni: un lavoro pesantissimo sotto tutti i profili, fisico, psicologico, umano. Un lavoro certamente retribuito molto meno di quanto non sia retribuito il lavoro dei tanti che su questa tragedia stanno invece montando il solito teatrino di retorica e ideologia. Allo stesso modo non è affatto scontato il lavoro di chi è in prima linea nel complicato lavoro di accoglienza, in strutture che da tanto tempo versano in condizioni di assoluta inadeguatezza. Non è scontato l’aiuto portato in mare dai pescherecci, come quei due fratelli Domenico e Raffaele Colapinto, che per primi hanno raccolto in mare i superstiti stremati, con i corpi che scivolavano dalle loro mani perché tutti coperti di gasolio.
Non era scontato l’impeto che qualche giorno prima aveva portato Carmelo Floriddia, carabiniere, a salvare sette vite di immigrati scaricati in mare, con messaggi cardiaci alla disperata, «felice di sentire il colpo di tosse – segno che la vita era stata riacciuffata - quando ormai non ci speravo più».
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