L’astensione e l’offerta
politica che manca

Certo, c’è la politica che candida gli impresentabili. Poi, non contenta li certifica pure come tali a due giorni dal voto, per una di quelle tante faide che se no che Pd sarebb?. E comunque per gli italiani chi li rappresenta è sospettabile di impresentabilità a prescindere, ma lo si vota lo stesso perché si sa che il più pulito c’ha la rogna. Potrebbe non essere questa insomma la causa di un rigetto delle urne che è cresciuto ancora in queste elezioni regionali e, spia più inquietante, pure nelle comunali, dove di solito ci si reca meno malvolentieri ai seggi perché il sindaco e i consiglieri comunali sono poi sempre i politici della porta accanto.

Le ragioni per cui ormai un italiano su due ha scelto di non partecipare alle urne (un partitone quello degli astenuti che vincerebbe a mani basse anche senza bisogno dell’Italicum) stanno forse in un’offerta politica che, in maniera speculare, a destra come a sinistra è diventata carente.

È il gioco dei piatti della bilancia. L’avvento di Renzi alla guida del Pd e del governo ha incrementato (forse, si vedrà alla lunga) il consenso del partito, ma lo anche terremotato. Nel senso che la coperta si è allungata verso destra lasciando scoperta una parte di sinistra, che non è quella pasticciona e indecisa dei “podemos minga” civatiani e neppure quella impolverata della vecchia ditta bersaniana ormai ritiritasi nella ridotta dello zoccolo duro. È rimasta una zona grigia, o meglio rosso pallida che ancora non ha compreso a pieno se siamo di fronte a un Tony Blair dei noantri che attuerà quella svolta riformista e socialdemocratica invocata come l’Araba Fenice da anni, oppure un epigono del Cavaliere sia pure al netto di conflitti di interesse o tentazioni pecorecce. O, magari, un redivivio Fanfani, il “Mezzotoscano” con ambizioni da De Gaulle, pronto a trasformare il Pd in una Dc 2.0.

E a proposito di De Gaulle, a destra, caduto il ventennale equivoco berlusconiano, una buona quota di elettorato liberaldemocratico è tornata ad aspettare quel Godot che manca giusto da 100 anni più o meno, dopo il declino di Giolitti. È un elettorato che, nonostante i tentativi felpati di Salvini,(l’unico leader di partito peraltro che può cantare davvero vittoria), non si fida del suo post leghismo in salsa nazionalista ma anti europea. Il dato di domenica, al di là dei proclami per cui come sempre, hanno vinto tutti, dovrebbe indurre una riflessione in entrambi gli schieramenti. Altrimenti l’Italicum che pure è una legge elettorale che ha i suoi aspetti positivi, rischia di essere solo una scorciatoia. Che garantirebbe la governabilità ma non un’adeguata rappresentanza. E in democrazia non è così che dovrebbe andare.

f.angelini@laprovincia.it

@angelini_f

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alberto SOFTER SRL

9 anni, 10 mesi

il voto è un diritto individuale. Come tale è prezioso, ma è anche rinunciabile. Certo che bisogna essere ben coscienti che con la rinuncia al voto si rinuncia anche ai diritti. Non si può non essere parte attiva nel momento della decisione su chi ci governerà e poi lamentarsi se le politiche economiche, sociali, del lavoro, dell'istruzione adottate saranno contrarie alle nostre idee. E quando si analizza un risultato elettorale nessuno può equivocare sulla scelta di non votare cercando di accaparrasi il significato di quella rinuncia. In altre democrazie, come quella Americana, ormai il mondo politico si è assestato e ha accettato che il risultato elettorale sia sui votanti, anche se ridotti a pochi ormai da anni. I non votanti non rientrano più nelle medie, e persino nelle decisioni. Quasi un tacito accordo: non vuoi votare? va bene, scegli tu liberamente, ma poi non protestare se verrai dimenticato e certamente ignorato. .

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