Negli interventi pubblici dei nostri politici si registrano, spesso, dettagli apparentemente insignificanti che, in realtà, disvelano verità sulle quali vale la pena riflettere: come dicono i francesi, il diavolo è nel dettaglio (le diable est dans le détails). Nello stesso momento in cui Matteo Renzi presentava la futura Legge di stabilità come una grande manovra di sinistra, Angiolino Alfano non esitava a rivendicarne la paternità attribuendole fieramente una chiara matrice di destra. Non è la prima volta che una decisione del governo venga interpretata dai due leader in modo esattamente opposto, del tutto antitetico. Si potrebbe cogliere in questa ambivalenza il segno di un cambiamento radicale della politica italiana che sembrerebbe essere approdata al definitivo superamento della contrapposizione tra destra e sinistra. Sono due gli elementi che avrebbero determinato questa inopinata metamorfosi: a destra, il berlusconismo come inedita forma di populismo mediatico che avrebbe inflitto un colpo mortale alla memoria collettiva del paese; a sinistra, il renzismo come esplosione di un conflitto generazionale che, in modo simmetrico, avrebbe causato una perdita di senso del passato di cui si tenderebbe a dare una interpretazione spietatamente liquidatoria (il passato come ignobile coacervo di magagne). Siamo, pertanto, nel pieno di una transizione politica di cui non è dato scorgere gli esiti finali. Un dato, tuttavia, risulta incontestabile: i quarantenni che guidano, oggi, il Paese rappresentano una generazione formatasi interamente negli anni del berlusconismo di cui ha assorbito modelli culturali, cliché e stilemi. Nasce da questo l’attrazione fatale che scorre tra settori, un tempo lontani, della destra e della sinistra. Non é un caso che Renzi piaccia all’elettorato più adulto della destra il quale, già permeato dei valori berlusconiani, vive anche il senso di colpa di aver lasciato ai giovani un paese più povero e scalcinato: per costoro, votare per Renzi sarebbe come fare la pace con i figli dopo averli traditi. Il Cavaliere conosce bene i suoi elettori perchè ne ha sempre sondato i precordi con grande sagacia. Per questo motivo, sapendo di non avere più alcuna chance, punta alla lenta consunzione di Forza Italia che i sondaggi danno, ormai, all’11,5 per cento: più che di declino, dovremmo parlare di un vero e proprio suicidio assistito. Un Cavaliere così amletico, che si rassegna a perdere e che rinuncia a rilanciare il partito, può significare solo una cosa: la costituzione di un asse con Renzi. In questo senso, risulta alquanto peregrina l’ipotesi di una frattura tra il Cavaliere e Denis Verdini. In realtà, Verdini e gli altri transfughi di Forza Italia sono un acconto che precede il conguaglio finale, cioè la liquidazione del partito con un robusto lascito elettorale per il premier. Tutto l’establishment sembra fervidamente agognare il partito unico. Ai tempi della Thatcher, in Inghilterra andava di moda lo slogan “Tina” che stava per “There is no alternative”, cioè, non ci sono alternative. Oggi, nel nostro paese, tutto sembra volgere a favore di Matteo Renzi che sembrerebbe non avere rivali. C’è solo un’incognita, quella di vedere un giorno Grillo incontrarsi con Salvini per giocare insieme al secondo turno. Fantapolitica? Chissà, in questo paese tutto è possibile!
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