la parola chiave è stabilità, nei dati di novembre per le imprese di Como, Lecco e Sondrio. Tuttavia c’è un altro termine assillante, nascosto ma radicato nei fatti: nonostante.
Dai dati confindustriali relativi alle tre province, emerge prima di tutto che non è avvenuto il balzo in avanti, ormai più sognato che sperato veramente. Troppa fragilità dei mercati esteri che sì, rappresentano il toccasana, anzi la garanzia di vita per le aziende; d’altro canto, però, sono esposti a ogni minima scossa. Che sia un drammatico evento terroristico o che si verifichino altri mutamenti di tipo economico (ma non solo) in un determinato Paese, che fino a un secondo prima era l’Eldorado o quasi.
Troppa timidezza, ancora, nella domanda interna. Qualcosa si è mosso sul fronte dei mutui, anche con le nuove chance offerte ai giovani - più facilmente schiacciati dal precariato - o ancora si sono colti segnali grazie agli sgravi fiscali, dagli interventi di ristrutturazione all’acquisto dei mobili. Su quest’ultimo fronte, c’è un calcolo di FederlegnoArredo: il bonus ha salvato in Italia qualcosa come 10mila posti di lavoro.
Ma tutto ciò non basta a far compiere quello scatto necessario per muoversi e investire con maggiore serenità. Stabilità: la vivono e vedono le aziende intervistate per la congiuntura di Confindustria Lecco e Sondrio e Unindustria Como.Se la aspettano persino nelle prossime settimane, quelle che decreteranno il reale e definitivo volto del 2016.
Diciamo persino, perché ci vuole coraggio a spingere comunque il giudizio sul futuro usando questo termine, dopo aver attraversato comunque un anno caratterizzato da cambiamenti diffusi.
E perché sul terreno di questa riflessione ci sono tantissimi ostacoli, a cui è ingiusto abituarsi. Sono rassegnate, piuttosto, le imprese. Negli anni hanno assistito allo scorrere di promesse e slide - di schieramento politico in schieramento politico - e intanto la burocrazia resta la spina nel fianco, sempre più dolorosa e incomprensibile.
L’incertezza, l’unica compagna fedele. E si presenta con varie vesti. Quella degli ordini, poiché le scadenze sono diventate tanto veloci quanto improvvise. Oltre la metà delle imprese analizzate ha ordini in portafoglio per un orizzonte temporale inferiore a un mese. Solo il 36% per qualche mese.
Una nebbia che rende le cose più difficili. Ma è meno odiosa di altro, perché almeno dipende dal mercato e dalle sue fragili condizioni. Molto più seccante non poter contare sulla certezza, o meglio sulla puntualità dei pagamenti. L’86% delle aziende si trova esattamente nella situazione del passato. Si tiene duro, si prevede anche la stabilità sul versante dell’occupazione.
Ma c’è anche tutto il resto, quello che la congiuntura non può dire, che non può essere quantificato e non per questo procura meno sofferenza. Costruire il futuro, con uno Stato che ti dice all’ultimo quanto, come e quando devi pagare: salvo cambiare tutte le carte in tavola tra qualche mese. Che sforna leggi con tardivi (se va bene) decreti attuativi. Che non è riuscito ancora a snellire la giungla burocratica, poi sottoposta a differenti interpretazioni a livello locale.
Stabilità nonostante. Due parole che camminano insieme in questo finale dell’anno. E chissà quando la seconda prenderà una strada diversa, almeno per un po’, e andrà a fare un giro lontano dal nostro Paese.
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