Le lacrime di un uomo dovrebbero restare esclusivamente un fatto umano e personale. Non dovrebbero interessarci in alcun modo. Se il pianto di una persona adulta diventa un caso di cronaca, è solo per ciò che l’ha causato. Soprattutto se quell’uomo è anche sindaco e se quella causa si chiama ‘ndrangheta.
Siamo chiari fin da subito: qui non si misura il coraggio. Non interessa in alcun modo bollare come eroe o, per contro, come codardo qualcuno. La questione, la vera e unica sul tavolo, è la seguente: può un sindaco della provincia di Como
essere terrorizzato e aver paura a causa del ruolo che ricopre? La domanda è pleonastica e racchiude in sé anche la risposta. O, almeno, dovrebbe essere così. Perché a Fino Mornasco, nel profondo e ricco Nord, è successo che il primo cittadino è stato costretto a svelare ai carabinieri del Ros il lato più umano di sé ammettendo: «Sì, ero terrorizzato».
Il crollo emotivo di Giuseppe Napoli davanti agli inquirenti che indagano sulla malavita organizzata al Nord è l’ennesima riprova, se ancora ce ne fosse stato bisogno, di quel che ormai le inchieste ci confermano periodicamente: la ’ndrangheta qui ha messo radici profonde. Altro che infiltrazioni.
Quando l’operazione Infinito, cinque anni fa, iniziò a far aprire gli occhi a molti, magistrati e avvocati si scontrarono a lungo su una questione tutt’altro che tecnica: al Nord è possibile parlare di associazione a delinquere di stampo mafioso? La giurisprudenza spiega che per contestare a un imputato questo reato è necessario che il soggetto in questione sia circondato da un alone di intimidazione diffusa, sia cioè capace di spaventare e condizionare a prescindere da eventuali atti intimidatori, già solo per il fatto di essere associato a un gruppo malavitoso.
In Sicilia, in Calabria, in Campania, gli italiani convivono da oltre un secolo con questo alone. E con questo condizionamento. I libri di Sciascia e la filmografia ci hanno offerto immagini che abbiamo sempre associato a luoghi lontani da noi. E la mafia è sempre stato «un problema di giù». Le lacrime di un sindaco del profondo Nord, dimostrano l’esatto contrario. Ora, non spetta certo a un quotidiano decidere se Napoli debba - come richiesto dalle opposizioni - oppure no - come replicano lui e la sua giunta - dimettersi. Deciderà in coscienza. Ci “piace” - per modo di dire, è chiaro - prendere atto del fatto che quelle lacrime rappresentino loro malgrado un altro passaggio fondamentale di questa lunga stagione di indagini, di arresti, di condanne e di richieste di condanne, al culmine della quale ci sembra di percepire qualcosa di nuovo. Diceva Benigni, parlando di Saviano e del lavoro dei tanti che come lui si occupano di crimine organizzato (e dei suoi riflessi sulla società), che nelle fiabe non si insegna ai bambini l’esistenza dei draghi, di cui sono perfettamente informati, ma della possibilità, concreta, di sconfiggerli. E aggiungeva Falcone: «La mafia non è affatto invincibile... È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine».
Capire, anche tra le lacrime, che i “buoni” possono vincere, significa avere già compiuto un passo fondamentale verso la vittoria. È una battaglia, non la guerra. Ma è già qualcosa. Forse un nuovo inizio.
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