In quest’epoca di rivoluzioni digitali, anarchia geopolitica e società nuove allo stato nascente è bello avere ancora delle certezze. Qui da noi, ad esempio, nella repubblica delle banane, del baffo nero e del mandolino, appena arriva la primavera parte il Circo Togni del Def.
Il documento di economia e finanza - lo strumento di programmazione delle scelte strategiche dell’esecutivo - è una cosa che in effetti, se non ci fosse, bisognerebbe inventarla. Sono decenni e secoli e millenni che appena spunta la parolina magica si apre la sagra delle fanfaronate alla quale, naturalmente, anche il governo del cambiamento non ha mancato di offrire il suo geniale contributo. E così, in sequenza, nei giorni scorsi abbiamo sentito i nostri eroi declamare alle genti i seguenti imperativi categorici e imprescindibili firmati con il sangue: il taglio delle tasse (è giù risate!), il ripristino della spending review (e giù risate!!), la vendita degli immobili di Stato (e giù risate!!!), la rottamazione delle cartelle alias condoni mascherati (e giù risate!!!!) e, per chiudere in bellezza con un evergreen buono per tutte le stagioni sul quale pare si sia esercitato anche Carlo Codega in un consesso ad alta gradazione alcolica, la lotta all’evasione fiscale (e giù risate con grancassa, mortaretti e Lingue di Menelik!!!!!).
Tutto vero. Lo hanno detto. Lo hanno proclamato ai quattro venti. Lo hanno divulgato e propagandato e ancora lo fanno in lungo e in largo nella solita dozzina di talk show tutti uguali, dove ci sono sempre gli stessi ospiti, gli stessi politici e gli stessi giornalisti, dove si fanno le stesse domande, dove si sentono le stesse risposte e dove c’è sempre un pubblico non si capisce bene se ottuso o prezzolato che applaude chiunque parli e qualunque cosa dica. Una sindrome clinica da tesi di laurea che ha raggiunto l’acme lombrosiano e chiaramente patologico durante l’ultimo “Piazza pulita” su La7, quando i presenti in studio hanno prima applaudito a scena aperta il ragazzotto della periferia romana che ululava che i rom non sono come noi e poi ha applaudito a scena aperta la reprimenda del bravo conduttore che sosteneva invece che i rom sono come noi. Tutto vero anche questo. E che ci fa sospettare che, a questo punto, il problema non sia il ragazzotto di destra, non sia il conduttore di sinistra e non siano neppure i famigerati rom, quanto invece l’encefalogramma lobotomizzato di chi partecipa alle trasmissioni televisive e, forse, pure di chi le guarda.
Ma è tutto spettacolo. E non può che essere così, perché se si parlasse davvero sul serio nessun politico con un minimo, ma davvero un minimo, di senso della decenza e nessun giornale con ancora un simulacro di coscienza critica del proprio ruolo andrebbe avanti a prendere per i fondelli i propri elettori e i propri lettori. E dovrebbe avere invece l’onestà intellettuale di dire loro le cose come stanno.
La prima. Considerato lo stato comatoso dell’economia, il mostruoso debito dello Stato e la valanga di soldi sperperati per provvedimenti clientelari, improduttivi e assistenziali quali gli ottanta euro (perché anche il fenomeno Renzi ci ha messo del suo, altroché), reddito di cittadinanza e, soprattutto, quota cento (un prepensionamento mascherato, altro che balle), ogni taglio delle tasse è impossibile.
La seconda. La flat tax ad aliquota unica è incostituzionale perché non progressiva e, oltretutto, costerebbe decine e decine di miliardi che ovviamente non ci sono, tanto è vero che dopo tanti annunci e proclami e trombonate è rimasta nel Def solo come vago impegno per il futuro e tanti saluti. Una roba da far impallidire Rumor.
La terza. Ogni riduzione di tasse su persone e aziende – provvedimento fondamentale, doveroso e urgente - deve essere però controbilanciato da un certo e duraturo taglio di spese superflue, perché altrimenti o si colpiscono i servizi essenziali o si ingigantisce ancora di più il debito.
La quarta. Una tassazione degli immobili, una volta fatta la riforma del catasto - e cioè mai… - è del tutto logica e di buonsenso. Ma la svolta davvero dirimente sarebbe quella di una politica che la finisca una volta per tutte di alimentare e rifocillare e ingrassare le sue clientele al nord, al centro e soprattutto al sud, di garantire i garantiti, di permettere agli evasori di rubare in lungo e in largo perché comunque rappresentano una vastissima sacca di voti a cui nessuno vuole rinunciare, di illudere e perculare i giovani, di sprecare miliardi su miliardi per alimentare se stessa, investendo invece nei settori nodali di un Stato moderno, che sono sostanzialmente la scuola, l’università, la ricerca e l’innovazione.
Bene, avete per caso sentito almeno alcune di queste parole dai nostri statisti scarmigliati? Avete per caso colto un qualche barlume di adeguamento alla realtà effettuale, al principio di realtà che scalfisca per un attimo la solita litania della propaganda elettoralistica rigonfia di “basta negri!”, “invadiamo la Francia!”, “morte alla casta!”, “nuovo miracolo italiano!”, “una grande alleanza di tutte le sinistre!” e altre baggianate del genere? Ovviamente no. Non c’è niente. Non c’è niente di nuovo nel nuovo. Non ci sono politiche di sinistra (per fortuna) né di destra (purtroppo). Ci sono solo chiacchiere, chiacchiere e distintivi e l’ennesimo srotolamento di quel filo inscalfibile, infido e fanghiglioso che tiene assieme da sempre i governi italiani, a prescindere dal loro colore e dai loro leader: più Stato, più sovvenzioni, più tasse, più clientele, più debito, meno mercato, meno merito, meno investimenti, meno competizione, meno impresa. Questo è quanto. Tutto il resto è biada per salmerie, parole d’ordine per gonzi, specchietti per allodole, ragazzini e webeti, balle spaziali che solo il popolo bue si può bere, perché se il popolo bue fosse composto da individui, invece di ruminare nella stalla (pure) questi qui li avrebbe già spediti a casa a pedate nel sedere.
@DiegoMinonzio
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