Dall’indagine sul Mose di Venezia emergono «significativi spunti investigativi sulle infiltrazioni delinquenziali relative alla gestione del progetto comasco». Quale progetto? Quello delle paratie.
La frase riportata non è sfuggita a un cittadino al bar, a un consigliere comunale, a un giornalista. No, l’ha scritta un giudice in una sentenza.
Il giudice è il comasco Carlo Cecchetti, la sentenza riguarda la vicenda dei proiettili spediti agli allora assessori Fulvio Caradonna e Diego Peverelli. Le tre righe, riportate testualmente, hanno l’effetto di una bomba sganciata sul dibattito, mai cessato, relativo al progetto per le opere antiesondazione. Già, perché il giudice del tribunale di Como scrive che un’indagine che ha portato a 35 arresti e un centinaio di denunce, un’indagine con tangenti e corruzione come parole chiave - quella del Mose, appunto - fa emergere spunti di indagine «significativi» anche sulle paratie. E nello specifico su «infiltrazioni delinquenziali» nella gestione del progetto.
Vi chiederete per quale motivo in una sentenza di assoluzione per una vicenda che non riguarda minimamente le paratie venga citato il caso di Venezia. Risposta: il giudice scrive che i proiettili a Caradonna e Peverelli vennero spediti proprio nel periodo in cui la tensione era alle stelle (gennaio-febbraio del 2008) per l’avvio della «realizzazione delle cosiddette paratie a lago» e quindi il colpevole andrebbe ricercato in quella platea «quasi sconfinata» di potenziali mitomani, furibondi per la scelta dell’amministrazione comunale. Quel che stupisce - e inquieta - è il passaggio successivo, quello che abbiamo citato all’inizio. Invece di limitarsi a riassumere brevemente la vicenda paratie, il giudice aggiunge quelle due righe “esplosive”. E non può essere un caso. Quindi, delle due l’una: o c’è una nuova indagine sulle paratie, finora rimasta sotto traccia, oppure - più difficile crederlo - si tratta di una convinzione personale del magistrato (perché metterla nero su bianco?).
Nei mesi scorsi La Provincia si è attirata più di una critica - da Palazzo Cernezzi - per aver paragonato le paratie al caso del Mose. Ora lo fa anche un giudice. D’altra parte alcune somiglianze sono innegabili, a partire dalla tipologia dell’opera per arrivare ai ritardi e al clamoroso aumento dei costi rispetto alle stime iniziali (sfioriamo i 33 milioni di euro e non è detto che sia finita qui), senza dimenticare che l’impresa appaltatrice è la stessa, Sacaim (l’allora numero uno dell’azienda Pierluigi Alessandri, interrogato, aveva ammesso di aver pagato mazzette all'ex governatore del Veneto Giancarlo Galan per il Mose e la Procura gli contestava la «costante e ripetuta elargizione di somme di denaro a pubblici ufficiali che erano preposti a sovrintendere alle assegnazioni di lavori pubblici o che su questi potevano influire», al fine di «ottenere assegnazioni di lavori in via preferenziale o comunque altri illeciti vantaggi e favoritismi nelle procedure di assegnazione» di quegli appalti). Finora a Como c’è stata un’inchiesta per reati ambientali ed è finita con l’archiviazione, mentre la Corte dei Conti sta ancora lavorando sul fronte dello spreco di denaro pubblico (anche nel recente passato sono stati acquisiti documenti in Comune). Parole pesanti come “tangenti” e “corruzione” sono rimaste confinate alle chiacchiere, alle maldicenze, a ipotesi mai suffragate da prove. Ora ci sono due righe in una sentenza. Un po’ poco? Vedremo. Di certo quelle parole («spunti investigativi sulle infiltrazioni delinquenziali» relative alla gestione del progetto comasco») rappresentano qualcosa in più di una pulce all’orecchio. Non solo per i giornalisti, per tutti i cittadini.
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