Accusato di essere una versione di sinistra del berlusconismo, di essere espressione del degrado culturale e antropologico dell’Italia, di librarsi nel vuoto pneumatico del pensiero, di cedere al populismo, Renzi sta suscitando tempeste a sinistra, ammiccamenti a destra, allarmismi nell’establishment.
Partiamo dai fatti, non dai (pre)giudizi di valore. Dove sta lo scandalo? Il giovane sindaco fiorentino ha avuto l’impudenza e l’audacia di lanciare un’Opa ostile sul vecchio Pci-Pds-Ds-Pd, muovendo dall’esterno della sua tradizione culturale e politica. E ha vinto. Si tratta di un’impresa enorme. Essa genera non la scomparsa di un polo di sinistra, ma certo del gruppo dirigente, che affonda le sue radici biografiche in Gramsci, Togliatti, Berlinguer. A 25 anni del 1989, il vecchio Pci, l’Arcipartito della Prima e della Seconda repubblica, che era scampato a Tangentopoli, esala l’ultimo respiro. Bene o male? I giudizi di valore verranno dopo, tanti quante sono le teste.
Intanto, da quale tradizione, da quale storia, da quale impianto culturale e antropologico muove Renzi? Dal vuoto, sostengono i suoi critici, dal nulla mediatico di questi tempi liquidi e disperati. Alla supponenza delle generazioni politiche che arrivano dagli anni della Prima repubblica riesce difficile riconoscere che un quarantenne di oggi abbia già una propria storia. Renzi è l’espressione del mondo cattolico fiorentino, segnato fortemente dal Card. Elia dalla Costa, da La Pira – su cui ha scritto la tesi di laurea - da Nicola Pistelli, l’assessore di La Pira tragicamente schiantatosi in auto a 35 anni nel 1964, dall’Isolotto di don Mazzi, da don Milani, dallo scoutismo cattolico. Sgombrato dal profetismo lapiriano, il cattolicesimo sociale fiorentino è la radice del riformismo pragmatico di Renzi e della sua tavola di valori. La sinistra orgogliosamente autosufficiente, che oggi si interroga inebetita, non riesce neppure a percepire la forza di quel lascito. Non si tratta di sinistra democristiana. Il Pd ha raccolto un gruppo di ex-democristiani da Marini a Fioroni a Rosi Bindi, che si sono tranquillamente insediati in una cappella laterale della vecchia cattedrale della sinistra, officiandovi i riti di potere ereditati dalla tradizione liturgica democristiana. L’Opa ha tagliato fuori anche loro.
Resta da chiedersi: perché un’intera classe dirigente è stata messa fuori gioco da qualche milione di iscritti, militanti, elettori? La ragione è sempre la stessa: la caduta del Muro del 1989 è stata una sferzata per tutta la sinistra europea. I più pronti a cogliere la sfida furono i laburisti e socialdemocratici Blair e Schroeder, che apprestarono le difese contro il thatcherismo e il reaganismo. Non così i comunisti italiani. Incapaci di muovere almeno i primi passi sulla via di una sinistra liberale o di un socialismo liberale, i comunisti italiani si illusero di aggirare gli scogli. Così la classe dirigente del Pci è stata corresponsabile del fallimento politico e morale di questi vent’anni, dell’incapacità di fare riforme socio-economiche, istituzionali ed elettorali, dell’impotenza crescente della politica, dell’estraneazione colpevole dei cittadini dalla partecipazione. Basterà un cambio di élite a rinnovare la sinistra e a rimettere il Paese in carreggiata?
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