Eppur si muove. Il mercato del lavoro dà segnali di vita e, visti i tempi ancora ristretti per avere una dimensione consolidata e indicativa, incoraggianti. A Como come altrove. Alla Cosmint di Olgiate annunciano una settantina di stabilizzazioni, ovvero di dipendenti che vedranno nelle prossime settimane il loro contratto di apprendistato o a tempo determinato entrare nella nuova categoria delle tutele crescenti. Altre aziende, in particolare quelle che stanno godendo del vento favorevole dell’export, si preparano a compiere passi simili. Ma, sospinti dal clima di ritrovata seppur prudente fiducia, non è difficile intuire che oltre alle stabilizzazioni arriveranno a breve anche assunzioni nuove di zecca. E a tempo indeterminato, grazie alla decontribuzione triennale che dovrebbe fruttare un risparmio di circa 24 mila euro per ciascun lavoratore. A livello nazionale il ministro Giuliano Poletti, per stare prudente, ha parlato di 150 mila posti di lavoro in più entro il 2015, ma l’obbiettivo neppure tanto nascosto è di arrivare a un milione di posti nel triennio, recuperando in tal modo un terzo dell’occupazione perduta dall’inizio della crisi.
Insomma il solco sembra segnato, anche se la ripresa è talmente debole che pochi, in riva al lago, si azzardano a fare previsioni. Ma non per questo rinunciano a cercare le strade, anche quelle impervie e difficili, per ripartire. Il vantaggio da queste parti è che, con euro debole ed effetti attesi/effettivi del quantitative easing, le esportazioni sembrano destinate a tirare ancora per un bel po’ con l’Asia e soprattutto gli Stati Uniti a guidare la carovana dell’attrattività per i prodotti del tessile made in Italy. Così, accanto alle possibilità offerte dalla nuova riforma del lavoro, prendono corpo altre idee: come quella delle assunzioni grazie al patto generazionale che è stato firmato nel luglio dello scorso anno dal presidente di Unindustria Como Francesco Verga e dal presidente dalla Regione Roberto Maroni. Lo schema era quello ipotizzato anche a livello nazionale, ma poi mai entrato nel Jobs Act e negli altri provvedimenti perché non era stato giudicato compatibile con gli equilibri di bilancio. Ma a Como hanno deciso che si può fare e l’impresa di Ambrogio Taborelli per ora aprirà le porte a un paio di lavoratori. I primi, si spera. Lo schema è semplice: chi è vicino alla pensione, o soprattutto avrebbe già potuto accedervi senza la riforma Fornero, in pratica rinuncia a una quota di ore di lavoro che invece passeranno ai nuovi assunti. Da un posto di lavoro ne nascono due, anche se part time. L’intento è quello di favorire, in un mercato del lavoro spesso troppo fossilizzato, l’ingresso di figure più giovani che altrimenti – complice l’allungamento della vita lavorativa di chi è già in azienda – sarebbero destinate a rimanere escluse ancora a lungo. Anche questo sistema attende la conferma sul campo della sua potenzialità, ma basta l’intesa a dimostrare come flessibilità e “creatività” patrimonio delle nostre imprese, si possono anche “esportare” con successo al campo contrattuale e del lavoro. Per di più senza mettere in discussione i diritti. Una strada questa per superare i limiti della nuova previdenza, che in altre realtà tipo la Lamborghini di Bologna, si sta spingendo fino al punto di derogare alla Fornero: in cambio di una decurtazione dello stipendio del 15%, i lavoratori possono restare a casa prima pur restando dipendenti e inserendo nel computo anche pause e straordinari non pagati. Là è si è scelto il modello di pre-pensionamento tedesco e la Fiom è d’accordo, qui il patto generazionale alla lombarda. Ricette diverse ma convergenti verso il lavoro che può tornare.
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