Con un discorso di insolita durezza, Matteo Renzi ha posto in testa alla sua agenda «europea» due provvedimenti più urgenti degli altri: la riforma del lavoro, da approvare entro la fine di ottobre, e quella della giustizia.
Il suo tentativo di compattare la maggioranza, e se possibile una parte dell’opposizione, sul terreno che più preme alla Commissione Ue si appoggia su una semplice considerazione: o il Parlamento è in grado di dimostrare che il governo fa sul serio oppure non si può neanche escludere il ritorno alle urne, sebbene questo sia uno scenario non auspicabile. Europa e voto anticipato sono i due temi che il premier ha solo sfiorato implicitamente ma che rappresentano i veri snodi politici della sua strategia.
I rapporti con Bruxelles restano tesi (non è un caso che Katainen abbia assicurato che l’ipotesi di un commissariamento della troika per il nostro Paese non esiste) e i contatti informali Ecofin hanno chiarito che l’Italia quest’anno non rispetterà la diminuzione del tetto deficit-Pil al 2,6 per cento, anzi sfrutterà tutti gli spazi di flessibilità permessi dal fiscal compact, burocrati o non burocrati. Renzi non lo ha detto esplicitamente ma i capigruppo del Pd hanno spiegato che per i democratici la sfida parte dalla Ue (Speranza) e che l’Italia è schierata contro «un’austerità ottusa» (Zanda). L’eurozona è ferma, ha commentato il capo del governo, e prima o poi bisognerà riflettere sui programmi che non funzionano senza ascoltare i «tecnocrati alieni» .
Tuttavia il segretario-premier sa perfettamente che per sostenere questa linea è necessario presentarsi a Bruxelles con in tasca qualcosa di concreto: il Jobs Act. Per questo è pronto a varare un decreto se i disegni legislativi di attuazione dovessero trovare in Parlamento ostacoli imprevisti (vedi le critiche di Cesare Damiano alla riscrittura dello Statuto dei lavoratori). E poi c’è l’altro bersaglio grosso, la riforma della giustizia su cui può trovare anche l’appoggio di Forza Italia: quando dice che un avviso di garanzia non può compromettere la politica industriale e un’azienda con migliaia di lavoratori (l’Eni), Renzi ha nel mirino una certa stampa e una certa magistratura che vogliono ostacolare il suo obiettivo di chiudere una volta per tutte gli anni di Tangentopoli con il ritorno alla normalità dell’Europa. Le sentenze si rispettano ma non si anticipano, in sostanza.
Ma il Rottamatore lancia anche un avvertimento ai nemici del patto del Nazareno quando ribadisce la priorità della riforma elettorale e di non temere il voto. A temerlo per la verità è Silvio Berlusconi che verrebbe colto in mezzo al guado della ricostruzione del centrodestra: ciò spiega le perplessità che serpeggiano in Forza Italia sulla strategia dell’accelerazione.
Ma ad un premier che esplicitamente cita la tattica di gara di un grande dell’automobilismo come Mario Andretti, detto “piedone»” («Se tutto è sotto controllo, vuol dire che stai andando troppo piano») , non si può chiedere di sollevare il piede dal gas. Renzi ha capito che il pantano va aggirato e che le riforme «si fanno tutte insieme o non si fanno» il tempo lavora oggettivamente contro un governo in crisi di risultati.
«Tempo in cambio di riforme» è in sostanza lo schema di gioco della squadra italiana nella Ue e su questo fronte il premier punta tutte le sue carte. Dal momento che la crisi non permette di trovare risorse aggiuntive nelle pieghe del bilancio statale, l’unica strada del governo è quello di marcare stretto Juncker sul piano di investimenti da 300 miliardi spingendo le banche italiane a «non avere paura» e a finanziare piccole e medie imprese. Il principale alleato di Renzi, Angelino Alfano, ha corretto gli iniziali dubbi della De Girolamo, parlando di un premier coraggioso su giustizia e lavoro: il Nuovo centrodestra individua uno spazio prezioso per il rilancio del popolarismo italiano, uno spazio che potrebbe costringere ben presto Berlusconi a scegliere tra lui e la Lega (la cui opposizione resta intransigente). Il centrodestra non ha nessun interesse alle elezioni anticipate, a differenza di Beppe Grillo e del Carroccio. Tuttavia in Forza Italia la fronda interna, come si è visto nelle votazioni per la Consulta e il Csm, ha un peso non indifferente e gioca di sponda con la minoranza dem.
Questo resta per il futuro il problema più grosso di Renzi, sebbene il varo della segreteria unitaria del Pd sia una schiarita sul cammino di blindatura delle riforme in Parlamento.
© RIPRODUZIONE RISERVATA