C’è una simpatica e caustica commedia che fa una parodia del fascismo, “Anni ruggenti”. Gino Cervi che interpreta il ruolo di un Federale uso a prendere a scappellotti sul capo il figliolo innocente per sfogare il proprio nervosismo. Il protagonista, Nino Manfredi, ignaro assicuratore scambiato per un gerarca del regime in ispezione, consiglia al ragazzo: “O cambi testa o cambi padre”. Ecco, il punto è cosa deve cambiare Como per evitare altri schiaffoni dopo quello annunciato dell’assessorato regionale promesso in tutte le salse dal forte sapore elettorale e ufficialmente svanito in un Giovedì Santo da digiuno anche politico. Fusse (tanto per restare la grande Nino Manfredi) la prima volta si potrebbe far finta di nulla e aspettare il prossimo treno. Ma poiché, appunto, i ceffoni incassati dal nostro territorio valgono la fornitura annuale di cachet in una farmacia, ci sarebbe da capire, al di là della contingenza, cosa non funziona. Partiamo dal via che passa dalla casella di Forza Italia il movimento che ha sostituito negli ultimi 25 la Dc nel ruolo di forza egemone sul territorio (il Pd è stata solo una fugace parentesi). Gli azzurri comaschi hanno sempre contato poco nel panorama nazionale e regionale. Il drappello dei paracadutati transitati dal Comasco prima di approdare a Roma, in Parlamento, è di gran lunga più numeroso degli onorevoli “indigeni” per cui anche le dita di una mano sono più sufficienti. Se c’è stata una fase in cui almeno a Milano, in Regione, si è contato qualcosa dopo l’epopea scudocrociata, è quella in cui Comunione e Liberazione esercitava il dominio dentro Forza Italia a Como e faceva da cinghia di trasmissione elettorale per Roberto Formigoni che ricompensava il territorio con gli assessorati. Addirittura il successore designato del lecchese più volte alla guida del Pirellone e con ambizioni ministeriali e di più sarebbe dovuto essere un comasco, a occupare il posto che già fu del Dc Giuseppe Guzzetti. Poi con il tramonto del “celeste impero” finirono le illusioni. Dice: mica è colpa di Como se Formigoni è venuto al mondo sull’altro ramo del lago. Però c’è da chiedersi se, nel caso di una nascita nella parte della provincia allora munita di targa, le cose sarebbero andate allo stesso modo. Discorso analogo si potrebbe fare per la Lega, altra forza trainante del centrodestra, ora più che mai. Purtroppo Umberto Bossi ha emesso i suoi primi vagiti a Cassano Magnago in provincia di quella Varese che deve al Carroccio gran parte delle sue recenti fortune. C’è da dire, a proposito degli ex lumbard che, in attesa magari di vedere l’astro di Nicola Molteni accendersi del tutto nel firmamento politico, il territorio comasco non ha mai visto assurgere personaggi di peso come è avvenuto, al di fuori di Varese, a Bergamo, Brescia e Milano. Certo, c’è stato Gianfranco Miglio, che però è stato un grande uomo di pensiero ma non di potere che gli interessava relativamente. Al di fuori del recinto del centrodestra poco di pervenuto. Chiara Braga nella segreteria nazionale del Pd è rimasta incagliata nella meteora di Renzi, Corrado Passera ministro è stata una parentesi tutt’altro che rosea nel governo più drammatico della storia repubblicana con il paese che camminava sull’orlo del baratro della bancarotta-
Adesso che ci ritroviamo con il sottosegretario leghista Fabrizio Turba incaricato di tenere i rapporti con il Consiglio regionale presieduto dal mancato assessore lariano Alessandro Fermi. Viva l’autoreferenzialità con l’agro sapore del pugno di mosche. E allora che fare? Cominciano con gli interrogarci sui criteri di selezione della classe dirigente messi in pratica dalla nostre parti. Poi riflettiamo su quella peculiarità tutta, chissà perché, solo comasca del faticare a fare squadra più del Paris Saint Germain che infatti fuori dal suo recinto non vince mai. Eppure sono tutti campioni, un po’ come invece pensano di essere i comaschi, sempre pronti a sgambettare il vicino di corsa e magari ruzzolare per terra insieme a lui pur di non vederlo tagliare il traguardo.
Certo, i comaschi erano così anche ai tempi della Prima Repubblica. Però, forse, allora, la politica riusciva a svolgere al meglio uno dei suoi compiti fondamentali che pare essere finito in disuso: quello di fare la sintesi tra i vari interessi in campo e riuscire a conciliarli. Si riparta da questa lezione, se per chiudere ancora con Nino Manfredi, si vuole che la prossima volta “fusse quella bona”. E pazienza se non è in dialetto comasco. Anzi.
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