Il punto di osservazione è decisivo. Basta fare un passo e la prospettiva con cui si considera la realtà può cambiare radicalmente. Così accade che, a considerare le città vicine, la realtà di Como il più delle volte appare ai nostri occhi più negativa di quello che è. Solo pochi giorni fa, giusto per fare un esempio, Mauro Della Porta Raffo, bosino doc, ha sottolineato ad esempio lo stato di apparente buona salute dei negozi comaschi «quando il commercio varesino è praticamente morto e i negozi chiusi sono centinaia».
Forse la considerazione è corretta, o forse no. Di certo l’impressione suona singolare visto l’alto numero di piccole attività commerciali che hanno chiuso i battenti anche in centro (via Manzoni e via Dottesio sono le zone dove il fenomeno è stato più rilevante ed evidente).
Tutto ciò per dire che è facile, mettendo a confronto città diverse, cadere in una sorta di pregiudizio negativo per il proprio luogo di residenza. Un po’ come quando, in vacanza, è facile sorprendersi di quanto il resto del mondo sia avanti rispetto al nostro paesello.
Bene, al netto di tutto ciò, ieri Como ha beccato l’ennesimo schiaffone dai cugini lecchesi. Questi ultimi hanno inaugurato in pompa magna l’ampliamento del campus universitario. Un progetto che i comaschi inseguono più o meno da quando è nata la stessa università e su cui, solo lo scorso anno, si è sviluppato un dibattito infuocato davanti alla possibilità di accedere ai finanziamenti della Fondazione Cariplo.
Allora, in virtù di un’evidente semplificazione giornalistica, si formarono in città il partito di Villa Olmo e quello del campus. Vinse il primo (Villa Olmo è rimasta lì com’era, ma questa è un’altra storia) e da allora sul polo universitario al San Martino è scesa una cappa di silenzio imbarazzato.
Il progetto è decaduto? Non c’è interlocutore, a cominciare dal Comune, che non si affretti a dire di no e anzi che è vero il contrario. E c’è da scommetterci che tutti i candidati sindaco, tra due anni, rimetteranno nel programma il progetto e il solito bla bla di circostanza sul valore dell’università per il futuro cittadino.
Ma sino a quando potremo permetterci di tenere bloccata, dal punto di vista urbanistico, un’area così importante? Forse sarebbe più onesto dire le cose come stanno e aprire un dibattito sul futuro di San Martino anche per evitare il rischio che alla lunga la proprietà (pubblica) ponga in termini pesanti la necessità magari di mettere l’area sul mercato.
E dire che Lecco ci ha battuti non solo sul campus: i “cugini” sono arrivati prima sull’ospedale e ci hanno oggettivamente lasciati indietro pure sul traffico perché loro sì, con il tunnel, hanno ottenuto quella tangenziale che qui ancora stiamo sognando (il primo lotto che verrà aperto tra sette giorni porterà come noto benefici molto limitati).
Perdiamo sul Lario e perdiamo anche con Varese che ci ha preceduto sull’ospedale, sulle grandi opere nel centro cittadino (qui sulle paratie siamo fermi, là rifaranno la piazza più importante) e ancora sulla tangenziale. Chi la butta in politica sostiene che sia l’effetto Maroni (il presidente della Regione è nato e vive a Lozza alle porte della città giardino).
Ma forse non è solo quello. Recuperare terreno non sarà facile, si può fare solo cercando di avere idee chiare e coesione territoriale.
Principi che dalle nostre parti non sono così scontati.
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