Se è stravero, come diceva Flaiano, che gli italiani sono sempre pronti a correre in soccorso al vincitore, sanno anche essere molto rapidi nel scaricarlo quando diventa perdente. Per la conferma, basta scorrere il “parterre” dell’ottava edizione della Leopolda, partita ieri sera, se non ve ne siete accorti. Manco l’ombra di un vip, di quelli che ai tempi belli sgomitavano per un posticino, un wahroliano quarto d’ora d’intervento e per un angolo di quei riflettori comunque meno abbaglianti della stella più che lucente di Matteo Renzi. Sic transit gloria mundi, forse. Perché in politica, di questi tempi, è meglio il “mai dire mai”. Però sembra davvero dura per il bulletto di Rignano rigiocare una mano vincente a quella ruota della fortuna che gli ha girato le spalle.
Se persino uno come Gentiloni (anche lui ha bigiato la kermesse fiorentina) che sembra un Rumor 2.0, suscita maggiore empatia del suo predecessore a palazzo Chigi, si è detto tutto.
Incredibile il crollo di immagine dell’ex premier che nel giro di pochi mesi si è trasformato dall’insuperabile Fonzie all’impresentabile “Fabris al trucco” del film più riuscito di Carlo Verdone, “Compagni di scuola”. Inguardabile, inascoltabile, uno che quando appare sullo schermo domestico, la mano corre subito al telecomando.
Perché alla fine, al di là di quel pentolone di fagioli e coltelli che è la sinistra italiana, il vero problema di Matteo Renzi, oggi è quello della comunicazione. Non importa quello che dice e ciò che fa lui o il governo fotocopia del suo con l’eccezione del solo Gentiloni che sembrava lì solo a tenergli il posto e invece… Conta come lo dice. Perché in Italia, anche prima che Berlusconi trasformasse la politica in una continuazione di Porta a Porta con altri mezzi, l’immagine e il come si dicono le cose, facevano più presa dei contenuti. Chi ha qualche anno rammenterà Giorgio Almirante: rappresentava un partito erede del fascismo ma parlava così bene che i suoi voti li portava sempre a casa. E tanto per restare in zona ci sarebbe il Gianfranco Fini pre casa di Montecarlo. Come le diceva bene le cose, al punto da non rendersi conto che alla fine non che è dicesse poi questo gran che.
Adesso Renzi ha girato mezza Italia sulle rotaie forse memore del personaggio di una canzone di Jannacci che il “treno lo prendeva per non essere da meno”. Non ha giocato la carta del bagno di umilità che a volte può rappresentare un toccasana come quello turco. E dal punto di vista della comunicazione, e se i sondaggi fanno testo, la rimonta d’immagine sembra essere ancora lontana.
La Leopolpa di questi giorni (l’ottava, qualcuno dice l’ultima) potrebbe rappresentare l’estremo rilancio di un giocatore di poker a cui è girata male dopo alcuni piatti ricchi. O la va o la spacca. In particolare sarebbe bello sapere una volta per tutte cosa pensa davvero l’ex premier del presunto rassemblement con la sinistra dissidente o parte di essa. Qualcosa che probabilmente gli provoca l’orticaria, ma che appare un rospone da ingoiare a causa di una legge elettorale su cui ancora Renzi ha sbagliato i conti, come già era capitato per l’abortito “Italicum”. E di batraci, come dimostrano le recente uscite, compresa quella sui sindacati a Otto e mezzo, lo sventurato Matteo ne sta ingurgitando parecchi. Sarà questa la tattica giusta per tornare a galla e a palazzo Chigi o magari alla Farnesina?
Oppure proprio dalla vecchia stazione fiorentina potrebbe partire un nuovo progetto politico ispirato a quel Macron a cui il segretario del Pd è andato a far visita di recente. Certo, i tempi non sarebbero brevi e alle ferite passate se ne aggiungerebbero di future. E bisognerebbe mettere nel conto la sconfitta alle prossime elezioni politiche, peraltro comunque non improbabile. Ci vuole coraggio, anche quello della disperazione che forse l’ex premier non percepisceMa l’alternativa passa per un galleggiamento-logoramento destinato al rischi di portare il treno dei desideri di Renzi su un binario morto.
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