L’eredità velenosa
che lascia Berlusconi

Breve riflessione a margine del mesto epilogo di un uomo che, nel bene e nel male, ha segnato la storia dell’ultimo ventennio. Una delle operazioni più spregiudicate condotte da Berlusconi, fin dal suo esordio, è stato l’avvio di un processo di revisione dei canoni classici della politica italiana.

Non è un caso che l’ascesa del Cavaliere abbia goduto inizialmente dell’appoggio di una parte consistente della nostra classe intellettuale, di ispirazione liberale, che ha visto in Berlusconi l’uomo in grado di infliggere un colpo mortale alla inconcussa

egemonia culturale esercitata dal marxismo fin dai primi anni del secondo dopoguerra. Per questo motivo, tutti gli intellettuali che hanno sostenuto il Berlusconi della prima ora, hanno dovuto misurarsi con le invettive della stampa “progressista” che non ha esitato ad etichettarli come ignobili reggicoda del Cavaliere. Questo approccio, tanto fazioso quanto fuorviante, ha impedito di capire i cambiamenti della società italiana che, travolta da un impetuoso processo di secolarizzazione, invocava una svolta culturale che i partiti tradizionali stentavano a cogliere. Berlusconi ha rappresentato per tanti il vero liberale che, per il suo passato da imprenditore, aveva le carte in regola per modernizzare il paese e destrutturare l’impianto elefantiaco di uno Stato inefficiente e sprecone. L’intero “establishment” ha proiettato in Berlusconi il desiderio di una grande svolta contro la partitocrazia dominante che ha sempre usato il settore pubblico come generoso polmone per irrorare e far respirare la politica.

Anche il quadro internazionale aiutava il Cavaliere a godere di grandi credenziali. Il crollo dell’impero sovietico e il processo di aggregazione degli stati europei, da cui sarebbe sorta la moneta unica, costituivano presupposti per un consenso quasi plebiscitario. Invece, così non è stato. Berlusconi ha dissipato un’apertura di credito, da parte del clero e della borghesia, che non si vedeva dai tempi di De Gasperi. La sua colpa più grave è di avere imposto al paese una nuova subalternità culturale che ha lasciato tracce profonde nella società italiana: dalla temperie culturale di questo ventennio berlusconiano, è sortita una società non solo più povera e arrabbiata ma anche profondamente atomizzata e individualista. Il cittadino ha visto in Berlusconi la prova che il capitalismo è una grande giostra che offre a chiunque la possibilità di una vita fatua, godereccia e aliena da ogni vincolo etico. Lele Mora, Briatore, Corona, sono diventate le icone di una società desertificata, dominata da un immane squallore morale che ha sottratto senso alla sobrietà, alle regole, alle relazioni tra uomini e cose.

Il potere, il danaro, il successo, sono diventati l’unica discriminante di un universo culturale che, anche attraverso un uso sapiente e spregiudicato delle tv, ha finito per creare una profonda divaricazione tra vecchie e nuove generazioni. Un immenso vuoto pneumatico: questo ci lascia, alla fine, il berlusconismo. La cosa curiosa è che, benché il Cavaliere sia stato il leader della destra, il suo unico, vero erede è nato, beffardamente, a sinistra. È questo il suo vero capolavoro: aver reso la sinistra uguale alla destra.

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