L’esempio del teatro
che crede in se stesso

L’altra sera, mentre quasi tutti i comaschi si erano già ritirati nelle loro case, alcuni pensando ai fatti loro, alcuni ai fatti altrui e altri ancora, non moltissimi, commentando la debacle del Comune che rischia di mandare a carte e quarantotto la “grande mostra”, la città veniva premiata a Londra.

Dire “la città”, per una volta, non è usare un’espressione figurata: a incassare l’International Opera Award per l’allestimento, nel 2013, dei Carmina Burana di Carl Orff in occasione del 200 anni del teatro, era proprio il nostro Sociale. Uno spettacolo, ricorderete, tutto imperniato sul coro al quale i comaschi, con la loro partecipazione volontaria, avevano dato vita e slancio. Il teatro, per una felice stagione, si era perfettamente sovrapposto alla città e un premio al primo è dunque da considerarsi a tutti gli effetti un premio alla seconda.

Ci è già capitato di indicare il Sociale quale esempio o, se volete, avanguardia di una Como che vorremmo ritrovasse se stessa. Il riconoscimento che viene da Londra porta a ribadirlo. Innanzitutto perché la presidente Barbara Minghetti se lo merita e in secondo luogo perché non c’è occasione migliore per sottolineare come il lavoro, l’impegno e l’entusiasmo possano fare tanta strada. A Como non è mai mancata la voglia di lavorare e anche l’impegno, in tanti settori, è sempre stato profuso. E’ forse l’entusiasmo che, secondo una visione tradizionale della città e della sua gente, viene considerato con un certo sospetto, come una manifestazione “poco seria” della personalità, un ingrediente inadatto alla progettazione e alla costruzione di cose durevoli. Non c’è dubbio invece che di entusiasmo ce ne sia tanto nel lavoro portato avanti, negli anni più recenti, al Sociale. Basta guardare il cartellone oppure visitare il sito ufficiale per rendersi conto di come, mentre in altre stanze si dibatteva sterilmente di strategie, programmi, finanziamenti e prospettive, il teatro poco a poco modellava se stesso in un polo culturale aperto alla città. Il Sociale offre le tradizionali stagioni di prosa, di lirica, di danza e vi aggiunge concerti, incontri culturali e qualche volta perfino il cinema. Si rivolge alle famiglie, ai ragazzi e anche agli adolescenti, ovvero quel pubblico tanto difficile da agganciare per chi non parla il linguaggio dei computer o dei videogiochi.

Il teatro Sociale sembra riuscire perfettamente in un’operazione sbalorditiva: entrare e uscire da ogni strato della società comasca con perfetta disinvoltura, facendosi amare e rispettare, aprendosi alle proposte di tutti e restituendole nel modo più rappresentativo e funzionale alla crescita collettiva.

Chi scrive, nell’ottobre del 1988, ebbe la fortuna di partecipare alla serata con cui, dopo quattro anni di chiusura per i lavori necessari all’adeguamento alle norme di sicurezza, ma in realtà per portare a termine una vera e propria ristrutturazione radicale della sala (operazione tutta a carico della Società dei Palchettisti), il teatro tornava alla città. Alla fine del concerto offerto in quell’occasione, dalla platea e dai palchi salì un applauso di particolare intensità: i comaschi salutavano con entusiasmo il ritorno del loro teatro. Quell’applauso andrebbe oggi ripetuto, con convinzione e con entusiasmo moltiplicato. Servirà a ricordarci a lungo che cosa sanno fare i comaschi quando credono in se stessi.

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