Quando ieri mattina Enrico Letta – vestito come un tramviere in distacco sindacale – ha sfidato il gelo di Sochi per annunciare agli stati generali che andrà da Napolitano “per sbloccare la situazione” abbiamo subito capito che stava per essere portato in scena uno dei classici più amati della pirotecnica politica italiana: il ruggito del coniglio.
È stata la degna chiusura di una settimana che ha regalato momenti di autentico spasso. A dare il via allo spettacolo, lo stesso presidente del Consiglio, che durante la direzione del Pd aveva ribadito che lui, di fronte agli
attacchi degli avversari politici, cioè del segretario del suo partito, non aveva “alcuna intenzione di galleggiare”, dando così la stura al bar della stazione a battutacce, allusioni e doppi sensi degni dei peggiori bagni pubblici di Caracas. Aveva poi proseguito il presidente della Repubblica, pronunciando al Parlamento europeo parole di fuoco contro la politica del rigore e i governi tecnocratici che sono la rovina dei popoli, e ne aveva ben diritto , visto che i governi Monti e Letta non sono stati nominati da lui bensì da Saragat e Leone. E si è poi finito in bellezza con la straordinaria, irripetibile e pedagogica polemica storiografica andata in onda a Le Invasioni barbariche su La7, dove sono accaduti i seguenti avvenimenti: la neo nullità Alessandro Di Battista (deputato Cinque Stelle) ha proclamato di essere in grado di fare il premier, e visto chi ci siamo beccati negli ultimi vent’anni magari c’ha pure ragione; la nota nullità Daria Bignardi (ex conduttrice del Grande Fratello) gli ha replicato che però lui ha il papà fascista; la riemergente nullità Rocco Casalino (ex concorrente del Grande Fratello e ora responsabile comunicazione dei Cinque Stelle) ha detto alla Bignardi che invece lei è sposata con il figlio di un assassino. Una volta c’era Togliatti che litigava con De Gasperi. Adesso, la Bignardi che fa gli esami di moralità politica a Di Battista e Rocco Casalino che lo difende. Tutto vero. E poi dicono che uno dopo il lavoro torna a casa e picchia i bambini…
Ora, come andrà a finire domani tra Letta e Napolitano all’apparenza sembra significativo, ma a pensarci bene è invece del tutto irrilevante. Comunque vada – conferma, rimpasto, staffetta o elezioni – finirà come al solito. In una gigantesca buffonata, che noi parco buoi ci ingurgiteremo come mille altre volte in passato e mille altre volte nei secoli a venire. Ma almeno questa settimana di eventi grotteschi ha dato una mano a quei pochi saggi che si sono messi in testa di smontare la panzana con la quale tutti quanti si sono riempiti la bocca negli ultimi mesi. Il ricambio generazionale in politica, la gioventù, le forze nuove, la linea verde, gli emergenti, i rampanti, i quarantenni, i trentenni, i destrutturatori, i formattatori, i rottamatori. Beh, più li vedi all’opera, questi qui, e più tendi a dar ragione a quello là che diceva che la storia si presenta sempre due volte: la prima come tragedia (Rumor), la seconda come farsa (Letta). E, soprattutto, che la gioventù come valore in quanto tale non ha senso. Non esiste. Un cretino è un cretino. Non è un’altra cosa.
Può essere un cretino alle prime armi oppure un cretino esperto, un cretino imberbe o un cretino plus, ma quello è e rimane, sia che trasmetta le sue riflessioni sull’universo mondo con la ceralacca e il piccione viaggiatore sia che le tuitti o le facebucchi guarnendole con faccini, sorrisi e pollici alzati. La prevalenza del cretino. E un libro o un film non è bello perché è nuovo, ma perché è bello (ma dai?). Tutti i titoli degli ultimi dieci anni della filmografia hollywoodiana non valgono la prima sequenza dell’Infernale Quinlan (1958) di Orson Welles, tutti gli ultimi vent’anni della letteratura italiana non valgono l’Aleph di Borges, così come il recente Le vite degli altri è cento volte meglio di tanti filmucoli dell’epoca di Carlo Codega spacciati come capolavori dagli intelligentoni della critica militante da terrazza. E di esempi se ne potrebbero fare migliaia. Insomma, che c’entra l’età con il genio?
Non esiste l’anagrafe, non esistono il patto generazionale, i tempi nuovi, la retorica dei quarantenni, della generazione Fonzie, di quelli degli anni Ottanta, di quelli che sono oltre le ideologie, di quelli immersi nel mondo globale, di quelli che sanno l’inglese e tutto il resto del ciarpame con il quale abbiamo infiorettato servizi televisivi e articoli di giornale tutti basati sulla cosmogonia del più vieto luogocomunismo. Esiste il talento, quello sì. E la cultura. E la visione. Questo è ciò che fa la differenza tra uno statista lungimirante e un traffichino doroteo e forforoso. Ed è questo che manca in maniera eclatante a una classe politica e amministrativa mai così inadeguata.
Ma come si poteva pensare che uno venuto fuori dalla più stantia formazione veterodemocristiana come Letta avesse le qualità politiche, culturali e, come dire, virili, per prendere per le corna l’inerzia di questo paese bislacco e ruotarla verso una nuova storia? Ma chi ci ha mai creduto? In fondo, non è solo un Casini più giovane, il nipote meno sveglio di suo zio? E il suo vice Alfano, con quel nome da personaggio di Sciascia e quegli occhioni spauriti da romanzo di Dickens? Ma come si poteva immaginare che un genio del male come Berlusconi – che è cotto e stracotto, impresentabile e indifendibile, grande ammaliatore e disastroso premier , ma che è comunque un genio straboccante di talento perverso e magnetico - si facesse mandare in pensione da due cosi del genere?
La tua nascita ti condanna. Ti stringe a sé per tutta la vita per quanto tu provi ad affrancarti. Non si fa una rivoluzione quando si è cresciuti nel dogma della trattativa ad oltranza, del rinviare, del ricucire, del gestire, del troncare e del sopire, del tirare a campare. Del galleggiare, appunto. Poi arriva un Renzi qualsiasi e ti buca il salvagente. Per poi iniziare a galleggiare pure lui.
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