Come non bastassero i problemi che assillano il nostro paese impaludato in questa crisi infinita, di tanto in tanto ci si mette anche l’Europa a colpire la già poca stima che abbiamo di noi stessi.
Ieri da Bruxelles è arrivato ad esempio un ammonimento all’Italia per scarso impegno nella lotta contro la tratta di esseri umani; ci sarebbe un’«insufficiente attenzione» sul tema. Intendiamoci, la questione di cui si parla è tremendamente seria, tanto che anche il Papa l’ha messa al centro della prossima giornata mondiale per la pace del 1 gennaio 2015. Per tratta si
intende il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, e include lo sfruttamento sessuale, quello per lavoro sottopagati o addirittura per commercio di organi. In Italia ci sono fenomeni ben noti che riguardano soprattutto la prostituzione e contro la quale tante associazioni sono impegnate in prima linea. Oppure c’è il caporalato, per fornire di braccia sottopagate in particolare l’agricoltura nei momenti in cui si concentrano i raccolti. Eppure nonostante la presenza di questi fenomeni inamissibili e da combattere, la denuncia che arriva dall’Europa suona in questo momento quanto meno ingenerosa nei confronti del nostro paese. Solo domenica la Marina militare italiana ha tratto in salvo 590 immigrati nell’ambito dell’operazione Mare nostrum. Le nostre navi sono intervenute in tre operazioni di soccorso a imbarcazioni provenienti dalle coste del nord Africa e hanno portato a bordo numerosi migranti anche da altre navi mercantili.
È vero che non c’è nessun nesso tra la virtuosità di queste operazioni in cui l’Italia è stata lasciata sola proprio dall’Europa (e lo sarà sino al prossimo novembre), e lo scandaloso sfruttamento delle persone che si consuma in alcuni angoli del nostro paese. Tuttavia in questi avvertimenti così apodittici che piovono dall’Europa si avverte una certa unilateralità e anche un’astrattezza nelle analisi. Ad esempio nel documento all’emergenza della prostituzione e del caporalato viene affiancata anche la condizione delle badanti e della collaboratrici domestiche, dimostrando davvero un’approsimazione sconcertante e una scarsissima conoscenza della realtà. Scambiare per schiavismo l’informalità della condizione di persone che nei loro progetti di vita sognano di poter tornare un giorno con qualche sicurezza e soldo in più nei loro paesi di origine, è segno di analisi fatte a tavolino senza nessun confronto con le cose.
Per tornare alla tratta, Giovanni Paolo Ramonda, responsabile generale dell’associazione Comunità Giovanni XXIII, l’associazione fondata da don Benzi, da sempre in prima linea nel recupero delle prostitute arrivate sulle nostre strade da paesi poveri e lontani, ieri ha voluto precisare che in realtà nessuno sul fenomeno ha la risposta in mano. «Proprio i bordelli olandesi e tedeschi legalizzati ci fanno dire che non viene assolutamente risolto il problema. La regolamentazione è uno schiaffo alla donna e non certo la soluzione», ha dichiarato in iun’intervista a Radio Vaticana. Non so cosa ne pensino gli analisti di Bruxelles in proposito. Certo che se la soluzione è di questo tipo, si può dire che la lotta al nuovo schiavismo rischia di colorarsi di imbarazzante ipocrisia.
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