Feriti coperti di polvere. I corpi delle vittime per terra. Tutto attorno il dolore, il panico e la rabbia. Scene da 11 settembre nella capitale belga colpita al cuore dal terrorismo islamico. Mai come questa volta i kamikaze terrorizzano il cuore degli europei: bombe all’aeroporto, bombe nella metropolitana. Morti casuali, morti innocenti, non sui campi di battaglia della Siria, ma nella città teoricamente più blindata d’Europa, dove pochi giorni fa i capi di tutti gli Stati continentali si sono seduti allo stesso tavolo per discutere di guerra, di profughi, di confini, di accordi con la Turchia. Bruxelles dove la polizia riesce a scovare, dopo mesi di fuga, il super ricercato Abdeslam Salah e poche ore dopo svela al mondo intero che forse è pentito e disposto a collaborare. E cosa succede? Che i complici di Salah non scappano, non si nascondono, ma decidono di uscire allo scoperto, di alzare la posta, di uccidere. I terroristi semplicemente prendono la metropolitana, entrano in aeroporto e compiono una strage.
Una volta ancora il Belgio e l’Europa intera, hanno dimostrato di non possedere le armi per combattere questa guerra dichiarata dal terrorismo integralista. Ma forse il vero nocciolo della questione è un altro; più semplice ma drammaticamente più vero. Si sono persi mesi in discussioni infinite sull’emergenza profughi e sulle guerre lontane, senza capire che il terrorismo più pericoloso è quello endogeno, nazionale, con il passaporto europeo in tasca, regolarmente residente. Si è preferito scontrarsi sull’allarme- frontiere, piuttosto che riconoscere ed occuparsi di quelle autentiche polveriere che crescono nelle periferie delle nostre metropoli.
Questa Europa dalla memoria corta fatica ad ammettere che il nemico sia nato e cresciuto in casa sua, abbia frequentato le sue scuole, lavori o sia disoccupato nelle sue periferie. I terroristi, nella maggior parte dei casi, non sono stranieri, ma cittadini europei a tutti gli effetti, immigrati di terza generazione che si sono radicalizzati in zone come Molanbeek, la parte di Bruxelles dove è cresciuto e dove era tornato a nascondersi Salah. E’ doloroso constatarlo ma i militanti che uccidono nelle nostre città sono figli e nipoti di immigrati di fede islamica che non si riconoscono come cittadini delle Nazioni dove vivono, che sono nati e cresciuti in aree urbane dove cresce un sentimento antioccidentale. Sono giovani diventati facili prede della propaganda fondamentalista.
Occorre capire fino in fondo che rapporto esista veramente tra integralismo e integrazione. Perché è ormai pacifico che nella nostra Europa ci sono migliaia di persone che non chiedono di essere integrate, che non vogliono essere assimilate, assorbite. Tra di loro sono tantissimi quelli che vogliono mantenere i loro usi e le loro tradizioni, ma che ritengono anche che le loro leggi siano migliori delle nostre e vorrebbero che venissero applicate nel nostro continente. Tra queste persone ce ne sono molte, non sappiamo ancora quante, che sono disposte a morire per questo obiettivo. Di fronte a questa palese evidenza, a questa emergenza, i leader europei restano divisi ed inefficaci nella loro azione di contrasto al terrorismo. La grande crisi economica, l’emergenza immigrazione, il pericolo di attentati; neppure vivendo queste sfide gli europei, hanno trovato lo scatto dell’Unione. Oggi c’è più sintonia tra la Francia di Hollande e la Russia di Putin, che tra la Francia e la gran parte dei Pesi dell’Unione.
Gli attacchi di Bruxelles, dopo quelli di Parigi riusciranno a spingere l’Europa fuori dalle remore in materia di difesa e politica estera comune? Si capirà finalmente la necessità di costruire una rete di intelligence sovranazionale? Questa è una guerra che non si può vincere da soli, non è una guerra dichiarata ad un singole stato. È un conflitto che coinvolge tutti, che vuole vincere incutendo paura ed insicurezza.
L’Europa è sotto attacco perché è debole, perché si è erroneamente pensato che rinunciando alla propria identità, alla propria storia, si potesse sopravvivere. Ed invece rinunciare alla propria identità significa essere sconfitti. La storia ci ha insegnato che ci sono voluti San Benedetto e San Francesco, piccoli e deboli, per far ripartire in Europa una possibilità di civiltà a misura d’uomo, capace di accogliere popoli e persone. Forse è necessario ripartire da qui per costruire una speranza, contro il terrore e la morte. Se L’Europa non sarà capace di una memoria storica che le permetta di mantenere viva la sua tradizione culturale e religiosa, non potrà nemmeno pretendere di avere un futuro e di riuscire a porre un argine all’integralismo omicida. San Benedetto insegna che l’Europa è stata veramente sé stessa e profondamente grande nel creare forme di autentica civiltà e progresso dei popoli, solo quando ha trasmesso quei valori costituivi che le provenivano dalla fede cristiana, dopo averli fatti diventare patrimonio di cultura e identità di popoli.
© RIPRODUZIONE RISERVATA