Come molte altre faccende, anche il dibattito sul monumento di Libeskind da collocare sulla diga foranea, quando finisce in politica assume toni grotteschi. Fa perlomeno sorridere, infatti, vedere issarsi sulle barricate alcuni oppositori dell’attuale giunta comunale, che a ruoli invertiti si sarebbero gonfiati come tacchini di fronte alla prospettiva di mettere il cappello sull’opera di un archistar per Como.
Le obiezioni degli architetti e di altre categorie di esperti sono di carattere tecnico e contribuiscono alla legittima discussione che si è sviluppata in città attorno a un intervento di grande qualità ma anche di notevole impatto. Quelle politiche rischiano di lasciare il tempo che trovano se sono solo legate a mere ragioni strumentali.
Per carità, l’opposizione fa il proprio legittimo lavoro che è quello di contrapporsi alla maggioranza. Ma forse, al di là di un certo benaltrismo che in certe discussioni fa sempre la parte del prezzemolo, non mancherebbero gli spunti per dare addosso alla giunta Lucini: dalla stangata fiscale, condita dalle difficoltà legate alle cartelle pazze della Tari che costringono a perdere tempo e fatica per pagare le tasse, a quel bel pasticcio che sta emergendo dal valzer delle poltrone e dal difficile rapporto dell’esecutivo con i partiti di riferimento e che porterà i cittadini a pagare di più per mantenere una squadra di assessori ampliata per non scontentare nessuno e così via.
Perciò, l’approccio nel dibattito sul monumento di Libeskind potrebbe anche essere diverso. Magari partendo dal presupposto che nessuno può permettersi di prendersi la responsabilità, non di fronte ai comaschi ma al mondo intero che ha già riso di noi per il muro sul lago, di chiudere la porta in faccia a una simile occasione. Ci sarebbe da aggiungere anche che, con l’Expo ormai alle calcagna e la previsione di un afflusso quotidiano di settemila turisti, Como non avrà un gran che di nuovo da offrire (e neppure di... vecchio, visto che il lago resterà oscurato dal cantiere delle paratie), se non proprio l’opera dell’archistar. Il che oltretutto impone tempi rapidi per la decisione non molto conciliabili con quelli dall’allestimento di un referendum, comunque dal valore consultivo.
L’ultima annotazione ma non meno importante è quella riferibile al valore condiviso rappresentato da Alessandro Volta, patrimonio comune dei comaschi e ispiratore dell’opera di Libenskind (il genio lariano peraltro si lega anche al tema alimentare dell’Expo avendo introdotto l’uso alimentare dalla patata dalle nostre parti).
Un paragone che non deve apparire irriverente può essere quello tra l’opera dell’autore di Ground Zero e del Museo dell’Olocausto e il Monumento alla Resistenza Europea collocato ai giardini a lago ed inaugurato da Sandro Pertini nel 1983. Anche l’estetica e la collocazione (che pure rispetta un criterio urbanistico ben definito) del lavoro dello scultore milanese Giovanni Colombo, che ricorda i sacrifici dei martiri per la libertà dal nazifascismo possono essere discutibili. Ma all’epoca il valore universale e condiviso dell’opera mise d’accordo la maggioranza e l’opposizione di allora che unirono gli sforzi per dotare la città di Como di quell’importante simbolo. Una lezione che forse sarebbe utile ricordare anche oggi, nel rispetto, ovviamente di tutte le opinioni.
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