Quando si è tormentati dal dubbio nel prendere una decisione irrevocabile, non c’è niente di meglio che affidarsi alla lezione dei classici. In una scena esilarante di “Fantozzi”, tanto per dire, si racconta quali peripezie debba affrontare il ragioniere più vessato d’Italia - tra le quali anche il celeberrimo “prendere il pullman al volo” - pur di arrivare a timbrare il cartellino in orario. Mai e poi mai lui avrebbe osato anche solo immaginare di comportarsi come quegli impiegati incastrati nelle settimane scorse dalle telecamere mentre timbravano al posto dei colleghi o si dedicavano al più sfrontato assenteismo. Tanto è vero che Fantozzi non si mette mai neppure in malattia e l’unica volta che pensa di fare uno strappo alla regola, tentato dai biglietti gratis per il circo per lui, la Pina e la figlia Mariangela, finisce per farsi beccare dal capoufficio, prendere una gragnuola di sganassoni da pagliacci e saltimbanchi e farsi sparare nell’iperspazio al posto dell’uomo cannone. Capolavori.
È per questo che il nuovo draconiano (a parole) decreto del governo Renzi, che prevede il licenziamento immediato dei furbetti del cartellino, così come quello che qualche anno fa aveva istituito i tornelli antifannulloni di Brunetta, fa quasi tenerezza nella sua sesquipedale incomprensione dei meccanismi psicologici che muovono la nostra natura di inetti e infidi, per quanto servili, impiegati di serie C. E che, nella stragrande maggioranza dei casi, non ha nulla a che fare con la delinquenza stracciona di quelli che timbrano in mutande per poi tornare a dormire o andare a fare la spesa. Lì bisogna essere in possesso dell’arroganza dei cialtroni, della spocchia degli impuniti, del familismo amorale dei banditi veri, marchiati da una diabolica perseveranza nel fregare tutto e tutti e nel rubare i soldi allo Stato e quindi a ogni contribuente, compresi i parenti, gli amici e i vicini di casa.
Vere schifezze umane, autentici spurghi di fogna, d’accordo, ma pochi. Sempre troppi, direte voi, ma, per quanto possa sembrare paradossale, non sono loro il problema. Non è quella la cifra etica, il ventre molle antropologico della nostra meravigliosa classe impiegatizia pubblica e, perché no, spesso anche privata. Il vero parassita che nidifica negli anfratti, nelle pieghe del moloch statale, parastatale e pseudostatale non truffa, non delinque, non viola le leggi, alle quali è, al contrario, untuosamente ossequioso e quindi, proprio come Fantozzi - feroce metafora gogoliana di un’umanità fallita, incapace, meschina e succube - arriva sempre in orario e se ne sta in ufficio per tutte le ore previste. Lui non imbroglia. Lui non si assenta. No. Lui implode, si accartoccia, scuoce, frolla, brasa, fermenta e si avvoltola sulla sua scrivania, neghittoso come un mollaccione, e si applica ottusamente al mansionario per cincischiare, abbozzare, troncare e sopire, impaludare, imboscare, insabbiare e scava la buca e riempi la buca e scava la buca e riempi la buca e rispondi al telefono al sedicesimo squillo e copia e incolla e copia ancora e protocolla e fascicola per poi rifare tutto da capo e aggirarsi per i corridoi con un foglio in mano e l’aria contrita di quello schiacciato dal peso del mondo. E tutto questo spettacolo grottesco con l’unico obiettivo esistenziale di farsi scivolare addosso il tempo che passa - senza mai lavorare, naturalmente - immortalato nell’altra memorabile sequenza fantozziana della battaglia navale tra vicini di scrivania e in quella della partenza dai blocchi stile duecento metri al suono del campanello delle cinque.
Nulla, niente e nessuno potrà mai cambiare la natura melmosa di noi mezze maniche impiegatizie, né leggi, né decreti regi, né encicliche papali o codici militari di guerra, né video, telecamere e controlli occhiuti e spionistici. Perché la norma non è fatta per essere violata, ma per essere invece diabolicamente svuotata dall’interno. Questo il colpo di genio. Presenti, ma assenti. Noi, ventriloqui del mansionario, esegeti delle glosse e delle pandette del contratto di lavoro, santoni del codicillo e profeti dello zerbinismo come ragione di vita, sempre all’erta per leccare le scarpe e a sdilinquirci e sghignazzare ilari e beoti alle barzellette del megadirettore generale e invece, un attimo dopo, spietati, feroci addirittura, nel prendere a gatti morti in faccia il fattorino che porta cappuccio e brioche. Noi catoni della macchinetta del caffè - vero tòpos della commedia umana moderna, un po’ come il ballo nei romanzi dell’Ottocento - pronti a vomitare il nostro odio represso contro il mondo e i poteri forti e le multinazionali e gli amici degli amici e il complotto planetario che ci ha impedito di emergere e di avere tutto quello che avremmo assolutamente meritato per condannarci invece, in quanto geni incompresi, a degli insopportabili carichi di lavoro, a degli insopportabilmente insopportabili carichi di lavoro, all’insopportabilità degli insopportabilmente insopportabili carichi di lavoro. E che toni e che pigli e che occhi di bragia con il ditino alzato a ululare a chi giova e chi ci sta dietro e che fare e però adesso basta perché la gente sono stufi e perché la gente non ne possono più.
Ma poi, tutti a cuccia. Quelli che votavano tutti Dc ma non lo dicevano perché si vergognavano, quelli che votavano tutti Berlusconi ma non lo dicevano perché si vergognavano, quelli che votano tutti Renzi ma non lo dicono perché si vergognano, sterminate falangi di termiti fameliche di rivendicazioni sindacali e di lazzaronismo genetico, spaccati di umanità eterna, immortale, inscalfibile, vera tropopausa di questa civiltà occidentale bolsa e accidiosa, strategia invincibile che permette a noi tutti di tirar sera dicendo che è sempre colpa di qualcun altro, compreso chi scrive questo pezzo, che anche ieri è riuscito a sgraffignare lo stipendio senza fare una mazza. Ci vuole ben altro di un Renzi o di un Brunetta qualsiasi per farci lavorare.
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