Dalle fosche stime Ocse su tutta l’eurozona, emerge un interrogativo: l’Italia è il grande malato d’Europa o piuttosto rappresenta solo l’area d’avanguardia della deflazione? In altri termini, il nostro Paese è il solo responsabile della crisi o piuttosto quello che ne paga il prezzo più salato? E’ assai probabile che Matteo Renzi si possa agganciare a questo interrogativo nel presentare in Parlamento il programma dei mille giorni.
L’unica, vera novità potrebbe venire da questo fronte, anche se sarcasticamente il capo del governo ha chiesto 48 ore di tempo per i miracoli: dal momento infatti che il ministro Padoan ha già assunto i suoi impegni in sede Ecofin, la protesta nei confronti di una Commissione Ue che tarda a mettere in campo il famoso programma di investimenti da 300 miliardi rischierebbe di suonare rituale. Del resto il premier non perde occasione per ribadire che l’Italia rispetterà il patto di stabilità, che farà le riforme, ma che aspetta una mano sul piano della flessibilità di bilancio.
Ne deriva che l’unica strada aperta davanti al Rottamatore è l’accelerazione delle riforme economiche, come il Jobs Act, la cui delega - secondo il ministro Boschi - dovrebbe essere approvata entro ottobre. Questo è un provvedimento che da solo, se divenisse operativo, potrebbe convincere gli euroburocrati ad allentare i vincoli di bilancio italiani: si tratterebbe della dimostrazione che Renzi fa sul serio. Non a caso gli alfaniani e il mondo imprenditoriale spingono perché la riforma del lavoro spicchi il volo.
Ma il problema sono i sindacati e la sinistra pd. Il Rottamatore è tra due fuochi e il rischio di scivolare nelle sabbie mobili delle votazioni parlamentari è reale. E’ in questo caso che si potrebbe aprire la prospettiva del ritorno alle urne in primavera: di fronte allo stallo, Renzi sarebbe costretto a scegliere la drammatizzazione e l’appello all’elettorato, forte del consenso che i sondaggi gli confermano ogni settimana. Ma è un’ipotesi che palazzo Chigi ha sempre scartato. Il varo di una segreteria unitaria, con almeno una parte della minoranza interna, è l’arma sulla quale il premier conta per scongiurare una resa dei conti dagli esiti imprevedibili. Quanto all’Europa, il segretario-premier pensa di avere ancora chance di passare alla controffensiva, dopo l’inopinata scalata del rigorista Katainen al coordinamento delle politiche economiche: attende l’esito del referendum scozzese, un fatto politico di prima grandezza che denuncia il pericolo della frammentazione e delle spinte centrifughe anti-Ue. Per battere i pugni sul tavolo Renzi avrebbe bisogno però di una compattezza delle retrovie che invece non c’è. L’alleato Angelino Alfano gli contesta esplicitamente troppa morbidezza nei confronti dei conservatorismi di una parte del Pd.
La fumata nera nelle votazioni per la Consulta, con la bocciatura del tandem Bruno-Violante, è un brutto segnale per il patto del Nazareno. Dopo la rinuncia alla candidatura di Catricalà, il Cavaliere aveva mobilitato i suoi gruppi per sostenere l’accoppiata, frutto di un travagliato compromesso; e lo stesso avevano fatto i fedelissimi del premier. E invece queste «condizioni» si sono liquefatte alla prova del voto segreto, e la dissidenza ha battuto un colpo che non va sottovalutato.
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