Quando un anonimo genitore romano, dopo aver rifilato l’ultimo ceffone sul coppino del figlio sovversivo che da un giorno occupava il liceo, ha scolpito nella pietra la memorabile epigrafe “la prossima volta fatti difendere da Fedez!”, abbiamo tutti capito di aver finalmente trovato un nuovo eroe. Un mito. Un titano. Un gigante del Novecento.
L’episodio, tra i più spassosi degli ultimi mesi e dall’epilogo manesco che sarebbe piaciuto a un intellettuale popolano come Guareschi, è altamente pedagogico. La fredda cronaca. Mercoledì scorso gli studenti di uno storico istituto di famiglie bene hanno deciso di interrompere le lezioni e occupare le aule. Dopo il terzo tentativo andato a vuoto per farli desistere, il preside ha convocato una riunione d’urgenza con i genitori, i quali incredibilmente - questa la vera notizia - non hanno difeso i loro pargoletti e dopo aver letto le profondissime motivazioni del gesto rivoluzionario - “un confronto democratico sul disagio delle nuove generazioni” - hanno sistemato la cosa senza aspettare l’intervento delle forze dell’ordine con un colpo di mano degno del Mossad. Giustizia sommaria. Niente intermediazione. Roba da don Camillo, appunto. Blitz a scuola. Effetto sorpresa. Porte scardinate. Irruzione nelle aule. Sberloni ai Che Guevara in erba, rispediti velocemente a casa a pedate nel sedere. Fine della storia. Dopo pochi minuti l’ordine regnava ai Parioli.
Ora, questo non è affatto un pezzo benpensante, bacchettone, codino e passatista, perché non c’è niente di peggio delle famiglie soffocanti e autoritarie dei tempi che furono, ma la rivolta morale di alcuni genitori contro il canovaccio grottesco delle sedizioni scolastiche è davvero un segno di speranza.
Diciamoci la verità. Quello è ormai da lustri un rito cotto, decotto e stracotto, un obbligo sociale, una parata di reduci di Curtatone e Montanara, una messa cantata per non sentirsi dimezzati rispetto ai fratelli maggiori o ai padri, durante la quale si urlano slogan vuoti e incomprensibili sulla controriforma della scuola, la democrazia in pericolo, la cappa della Trilaterale e l’appello delle anime pie per la pace nel mondo.
Ma in fondo è sempre stato un po’ così. Oggi, nel giorno della morte del comandante maximo - la sua epoca,invece, era morta trent’anni prima di lui e del suo regime - è davvero impossibile non ricordare di quanta fuffa, di quanto pattume, di quanto ciarpame, di quanta letteratura da stazione si fossero infagottate le eroiche okkupazioni scolastiche e universitarie degli anni Settanta. Che circo.
Tutti a straparlare e sdottoreggiare e trombonare e la rivoluzione e il proletariato e il sei politico e vietato vietare e Marx e Engels e i sacri testi del comunismo planetario – tutta roba di cui, naturalmente, nessuno aveva mai letto una mazza - e le contraddizioni del sistema e le multinazionali e il complottismo e il benaltrismo e il castrismo e il cheguevarismo e il trotskismo e il maoismo e il gruppettarismo e l’anarcosindacalismo e il mondialismo e il femminismo e il nannimorettismo e l’eccebombismo e il guccinismo e il cantautorismo, loro, i liderini forforosi con i loro sacchi a pelo e le loro schitarrate e i loro Inti Illimani e le loro sommosse organizzate al tavolo del biliardo e le espadrillas scalcagnate e le penny loaf senza calze e i maglionazzi sformati e le bombette peruviane e le Macondo con le loro P38 e tutta la più pulciosa valanga di luoghi comuni, ideologia stantia, demagogia ad alzo zero, appiattimento intellettuale - e decimazione del congiuntivo e della sintassi della lingua italiana - che si sia mai vista nel corso del secolo scorso.
Che avanspettacolo. Ma almeno quei tempi, erano i tempi. Adesso siamo alla caricatura di quei tempi, questo il dramma. La stagione delle occupazioni, che da consolidato canovaccio parte sempre attorno a fine ottobre per arrivare a Sant’Ambrogio e così saltare dritti filati dalle sedute di autocoscienza in classe alle vacanze sulle piste da sci - nelle quali, storicamente, quei capetti eccellevano, visto che poi andavano a dormire nella villa di paparino mentre a noi morti di fame toccava stare a casa, studiare e lavorare in nero nel weekend - è diventata sempre più grottesca via via che le nuove stagioni della storia andavano su percorsi sempre più lontani da quelli prefigurati dai nostri strateghi. E quindi tenuta in vita solo da un desiderio di autoperpetuazione che di politico e realistico non ha più niente.
Diciamoci la verità, ora che ormai siamo tutti adulti. Che è mai c’entrato il diritto all’istruzione o la fame in Africa con le nostre pseudorivolte? Quello è sempre stato un rito di passaggio - anche se toccante - nel quale l’adolescente tentava di uscire per la prima volta dal controllo sociale della famiglia e sentirsi così adulto e libero. Dormire per terra, confidare sogni, fole e speranze al compagno di merende, struggersi a due passi dall’amata fonte di mille delusioni con la scusa del corso sul sesso libero o della conferenza sulla grandezza di Enver Hoxha, e poi pulsioni, timori, tremori, umori, odori, puzza di piedi, palpiti di giovinezza e tutta quella fantasmagoria di esperienze che hanno fatto dire alla sensibilità del regista Louis Malle che l’adolescenza è la stagione più affascinante perché lì si vive ogni cosa per la prima volta.
Questo è ciò che si può e si deve salvare delle agitazioni scolastiche.
Il resto faceva irritare, e spesso faceva paura, durante gli anni di piombo e, per converso, fa ridere in questi anni di melma. Anni paludosi nei quali genitori imbelli, bambocci e infantili, inevitabile contrappasso dei padri padroni di una volta, passano le giornate a dare ragione ai loro figli su tutto, a dire che la colpa è sempre di qualcun altro e a insultare professori e allenatori, nel tentativo maldestro di trasformarsi da padri in amici.
Dimenticandosi che spesso un ceffone è l’atto d’amore più puro che si possa donare al proprio ragazzo. Un giorno, lui capirà.
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