Lo sport a Como
è affare privato

Alcuni mesi fa una ricerca del Sole 24Ore ha messo in evidenza il paradosso in cui ci troviamo. La nostra città tanto è avanti nella pratica sportiva (società, tesserati, classifiche, risultati), quanto è messa male nel campo degli impianti. In gran parte si tratta di strutture vecchie e malandate, soldi per intervenire, manco a dirlo, non ce ne sono.

In questo campo, dobbiamo ammetterlo, Como accusa un ritardo storico molto pesante soprattutto al confronto con altri centri della provincia (su tutti il caso di Erba) che non si sono fatti sfuggire l’occasione di realizzare nuovi impianti in sinergia con i privati. E probabilmente questa è l’unica strada che, in futuro, potrà essere esplorata perché da sé il pubblico non ha più la forza di sostenere investimenti significativi.

Lo stesso sindaco Mario Lucini, con amarezza, alcuni mesi fa si è trovato costretto ad ammettere che di fronte a tante carenze, al Comune non resta che alzare bandiera bianca: «Mi dispiace molto, ma servono tanti soldi tutti insieme vista l’entità del problema. E noi non li abbiamo. È decisivo l’intervento di capitali privati. Se arriveranno, qui troveranno la porta aperta».

Il caso del palazzetto di Muggiò, chiuso da circa tre anni, è emblematico. Per sistemarlo le stime di Palazzo Cernezzi parlano di 3,5 milioni di euro. Ristrutturarlo sarebbe più costoso di farne uno da zero e allo stesso tempo lo stato del bilancio comunale è tale che al momento non sono nemmeno disponibili i fondi per demolirlo. Insomma, siamo costretti a tenercelo così com’è in attesa che il tempo e l’incuria mettano la parola fine.

La necessità di investitori privati è una condizione ormai largamente condivisa, meno scontato passare dall’enunciazione di un principio generale alla definizione di un progetto concreto. Ai privati aveva pensato anche la giunta Bruni quando cinque anni fa mise in piedi, attraverso la cosiddetta finanza di progetto, un piano di riqualificazione per Muggiò. Poi tutto è tramontato quando, gli stessi privati, di fronte ai mille vincoli imposti dal consiglio comunale, hanno preferito fare valigie e investire altrove.

Si tratta di una vicenda che deve far pensare perché, al di là dei giudizi di merito, è poco realistico pensare a impianti sportivi regalati al pubblico dai privati. Questi ultimi hanno la legittima aspirazione di ottenere un ritorno economico, mettere in secondo piano questo fattore curando solo il valore pubblicistico delle opere significa fatalmente finire in un vicolo cieco.

I problemi della piscina di Muggiò non sono diversi. Servono delle opere per la messa in sicurezza della tribuna, ma non ci sono risorse per procedere. E quando ci sono i soldi per sistemare le strutture, il pubblico rischia di farsi del male attraverso la gestione. A Como, nel caso delle piscine, il passaggio di consegne a Csu (una società comunale partecipata) ha nettamente migliorato la situazione rispetto al passato quando persino i bagnini venivano scelti dall’assessore di turno ma non dappertutto è andata così.

A Cantù, per esempio, la gestione privatistica di Canturina Servizi, ancorché efficiente, nulla ha potuto di fronte a una struttura inefficiente che un privato avveduto avrebbe chiuso in pochi giorni e che al contrario è stata mantenuta aperta, nonostante il deficit pesantissimo di esercizio, per tutelare l’interesse pubblico. Soluzioni semplici e privi di sacrifici, anche nel settore degli impianti sportivi, non ce ne sono.

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