Stavolta non è antipolitica, non è la carica degli anti-Casta. Questa volta si parla di atteggiamenti criminali, un salto dalla naturale contestazione verso un qualcosa che sconfina nell’attacco alle istituzioni che in Italia tanti lutti ha provocato.
Piccoli episodi, potrebbe dire qualcuno, ma il fatto che a Valsolda qualcuno arrivi a minacciare addirittura un’amputazione a chi si azzarda a votare a favore della fusione dei Comuni e che ad Appiano si attacchi a colpi di sassi l’agenzia di un assessore, la dice lunga sul degrado che sta intaccando anche la periferia. Ma soprattutto, pochi giorni dopo il folle ferimento del sindaco di Cardano al Campo, si rivela anche qui da noi un’Italia che non ha remore nel prendersela addirittura con un amministratore locale per questioni tutto sommato risibili. Salta fuori, da questi episodi un Paese che è pronto a mutuare dalle organizzazioni criminali il metodo del controllo del territorio. Ma, altresì, si staglia con sempre maggiore incidenza, la realtà di sindaci, assessori e singoli consiglieri ormai in prima linea a dover fronteggiare l’esplodere di ogni risentimento.
Sarebbe un errore confondere questi atti con il generale processo di critica verso il Palazzo e con la caduta di credibilità della classe politica nel suo insieme. In questo caso si perde il senso delle proporzioni e si rischia di andare verso una legge della giungla dalla quale nessuna ne uscirebbe bene. A cominciare da chi, appunto, se la prende in modo criminale con il proprio sindaco, con i suoi amministratori.
Da rappresentanti delle comunità locali, i primi cittadini si sono trovati a interpretare ruoli sempre diversi e con responsabilità crescenti, per le quali - va riconosciuto - non sono neppure pagati in modo adeguato. Oggi il sindaco diventa, suo malgrado, non tanto l’interprete di istanze locali da lui (con i suoi amministratori e con il consiglio) decise, ma la cinghia di trasmissione di scelte operate altrove. A Roma, soprattutto oppure in Regione.
E’ esattore, è pubblico ufficiale anche con responsabilità sulle sicurezza pubblica, deve amministrare con le capacità di un manager ma con tanti vincoli in più.E se non riesce ad assicurare più l’asilo nido, se è costretto a tagliare i servizi sociali per anziani e disabili, se non fa costruire un marciapiede sulla strada pericolosa o illuminare la via, la colpa è solo sua: vai a spiegare ai concittadini che magari i soldi li hai perché hai amministrato bene ma il patto di stabilità ti impedisce di toccarli oppure convincili che fondersi con l’ “odiato” comune limitrofo può dare un po’ di sollievo alle casse! Oppure spiega che i bandi di gara vanno fatti per bene, che si scelgono le ditte in base a capacità operative e con un ottimo rapporto costi-benefici! Ben che ti vada ti becchi una lettera con alcuni proiettili, una selva di minacce dirette e indirette. Nella “migliore” delle ipotesi c’è sempre una denuncia pronta, spada di Damocle capace di pendere per anni se non decenni.
Ci vuole coraggio, oggi, ad amministrare, prima ancora che passione. Anche se si tratta di un Comune piccolo dove spesso non c'è neppure la struttura a sostenere sindaco e assessori. E’ questo l’unico scampolo di “federalismo” che lo Stato ha saputo adottare, ma è meglio chiamarlo “scaricabarile”: «Vuoi fare l’amministratore? Arrangiati». A Cardano si è andati vicino alla tragedia totale, è l’occasione che Roma (e Milano) si ravvedano e vengano a dare una mano, concreta, a questi amministratori, che dicano loro: «Eccoci, siamo qui, adesso vi diamo più mezzi e più soldi, pari al vostro lavoro». Un messaggio che sarebbe anche la risposta necessaria a bloccare le follie dei nuovi criminali che avanzano.
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