La cosa più facile, oltreché bella, per noi - molto addetti ai lavori, ma anche un pochino tifosi - sarebbe parlare solo di una squadra che, alla prova del sei (le prime partite di campionato) ne ha vinte tre, regalando sprazzi di bel gioco e facendo vedere di essere qualcosa in più di un embrione di gruppo in grado di regalare soddisfazioni.
Sarebbe il massimo. Perché da sempre convinti di una cosa: le fortune delle società, specie quelle di vertice, del territorio sono anche le nostre. E quindi guai a ballare da soli. O addirittura contro, perché in fondo, conti della serva alla mano, sarebbe dannoso pure per noi.
Ma c’è una grande anomalia, da qualche tempo. E riguarda la Pallacanestro Cantù. Con la cronaca, nuda e cruda, che spesso supera l’aspetto sportivo. E che costringe, invece di esaltare una vittoria splendida come quella di Pistoia, a rincorrere gli eventi. Che si inseguono a una velocità non immaginabile e che, nell’era di social e delle chat, difficilmente si possono nascondere.
Non può farlo la società, malgrado qualcuno si ostini a dare la caccia alle streghe (o alle talpe), non si può fare nella redazione di un quotidiano, perché lo dobbiamo - prima che a noi stessi - principalmente ai lettori. Che poi sono anche i tifosi. Che acquistano il giornale e che vanno al palazzetto. E che quindi hanno un doppio legame con l’informazione del territorio e con la squadra della città. Legame indissolubile anche quando i momenti, come questo, sembrano bui, forse i più bui della storia.
Ci limitiamo a fotografare. Cercando di essere più verosimili possibile. E se qualche volta ci scappa un condizionale non è perché non siamo sicuri, ma perché ogni tanto ci tocca tutelare pure le fonti, per non esporle, magari, agli stessi attacchi che subiamo noi, da dentro e fuori l’ambiente.
Siamo i primi tifosi della Pallacanestro Cantù, e ve l’abbiamo anche confessato, ma non ci rassegniamo al fatto di far passare per normale l’anormale. Soprattutto perché, pregio delle precedenti gestioni, in Brianza non ci siamo, e non siete, abituati. Per indole, laboriosità, storia e serietà.
Quest’anno, invece, in più di un’occasione ci sono state anomalie da registrare: da un’iscrizione in extremis (quando mai ci era capitato di fare il conto alla rovescia per la più normale delle attività burocratiche di una società professionista?) all’arrivo in scivolata sulle scadenze della Com.Te.C, l’organo di controllo dei conti; dal pagamento delle pendenze con i giocatori (italiani e stranieri) ai lucchetti alla palestra di allenamento e ai sigilli al palazzetto di gioco.
Vero, se tuona, è perché da qualche parte piove. E il cielo sopra Cantù da tempo è attraversato da nuvole nere che, anche quando meno te l’aspetti, scaricano acqua. E allora giù acqua. Ad annacquare risultati sportivi lusinghieri e a portare a galla magagne una dopo l’altra.
È la cronaca, bellezza. Verrebbe da dire. Manna per quei cronisti che farebbero carte false pur di sguazzare nel torbido, là dove è più facile pescare notizie pruriginose. Noi non siamo così, nonostante quello che si possa pensare. Perché se è vero che non siamo l’house organ di nessuno, tantomeno della Pallacanestro Cantù, e se è altrettanto assodato che ci riserviamo, come è nel nostro ruolo, il diritto di cronaca (e di critica), i primi a essere affezionati a quei colori biancoblù sono proprio coloro che in questa redazione lavorano.
Quindi, e vale per tutti, basta con gli alibi fittizi. Con la stampa cattiva, i dirigenti pessimi, la proprietà mascalzona o i soci che spifferano tutto: per il bene di questa squadra - che è poi anche il bene di una città, di un territorio e di una provincia – tutti a pensare positivo. E a tifare. A cominciare da domani. Abbiamo o no, finalmente, una squadra simpatica e interessante?
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