L’orrore e la forza
di ripartire per Adele

C’è un’immagine più forte di quelle che ci hanno inseguito in queste ore, dopo la strage di Dacca.

La prendiamo con delicatezza, come per paura di guastarla, e la contempliamo perché la speranza abbia il sopravvento sull’orrore. O almeno ci proviamo.

È quella di una collega e di un’amica di Adele Puglisi - la manager di Artsana uccisa barbaramente in Bangladesh - che afferra le valigie e parte. Si mette in viaggio anche lei per lavoro, in un Paese ufficialmente più tranquillo, come la Cina.

Ma chi di noi oggi se la sente di dire: in quel luogo siamo al sicuro. Che lo ammettiamo o no, persino uscendo di casa e andando in un locale a mangiarci una pizza o a bere qualcosa, in queste ore avvertiamo l’inquietudine. Come quando Parigi fu straziata, lo scorso novembre. Forse persino di più, perché sentiamo davvero che non esiste un’isola, se non felice, almeno al riparo dai terroristi.

Eppure rimettersi in viaggio non può accadere solo per i fatalisti, per chi insomma crede che tanto il nostro destino sia scritto.

Ripartire, portare avanti la nostra attività ovunque essa sia, magari proprio nelle terre più tribolate del mondo, ha senso se lo facciamo per qualcosa, o meglio per qualcuno.

Come i colleghi fanno oggi per Adele, che così si sarebbe comportata visti il suo carattere e la sua passione per i popoli.

Adele che si era indignata quando sui media era corso l’accostamento tra musulmani e terroristi, lei che aveva vissuto a lungo in Bangladesh, in Sri Lanka. E non aveva nascosto il proprio sdegno, anzi si era mobilitata.

Già, questa donna aveva difeso l’Islam ed è stata uccisa per non aver saputo recitare i versetti del Corano: così in apparenza, perché in questa tragedia e come nelle altre firmate con il sangue dal terrorismo, la fede non c’entra, non armerebbe, né consentirebbe di nuocere a un altro essere umano, figurarsi di accanirsi su di lui in nome di un Dio.

Così questo paradosso oggi ferisce ancora di più, eppure smontate le sue fragili apparenze, diventa un ulteriore invito. A ripartire appunto, in qualche modo, con tutte le nostre fragilità, con i nostri dubbi, con la paura che non si può soffocare. Si può solo accettarla e portarla con noi nella valigia che stiamo preparando o prepareremo, in ogni nostro passo vicino e lontano.

Sapendo che così ci sforzeremo nel nostro piccolo di rendere migliore questo mondo che adesso ci pare disumano, proprio come avrebbe cercato di fare anche lei.

In viaggio con Adele, in viaggio per Adele e per tutte le altre vittime di questa atrocità, con il cuore più pesante della valigia ma deciso a non fermarsi per inseguire la speranza.

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